Cade nella disperazione più nera, ma ha un figlio, una famiglia, in qualche modo va avanti. Entra in un’associazione per disabili, inizia la fisioterapia. Il medico consiglia la piscina terapeutica, sarebbe un toccasana per lei. Ivana gira tutta Bari. Scopre con sgomento che quelle piscine non ci sono più. Le poche rimaste sono private e costose. Si rende conto che tante famiglie con figli o parenti disabili sono costrette a viaggi impegnativi fuori città, altre rinunciano e basta perché non possono permetterselo.
Ivana fa qualche ricerca. La piscina terapeutica gratuita più vicina è a trenta chilometri da Bari. Una follia. Qualcuno deve saperlo, non si può fare finta di niente. Ivana sente un fremito, di botto recupera l’energia di un tempo. Il figlio la incoraggia a seguire l’istinto. Ivana scrive una lettera di fuoco a un politico che la gira al giornale del posto. La terapia in piscina non guarisce, ma dà enormi benefici fisici e psicologici a bambini e adulti con gravi disabilità, dovrebbe essere un diritto garantito. Una città di oltre trecentomila abitanti deve averla, non ci sono storie. Fa arrivare la sua voce a chi di dovere. Una struttura esiste, è chiusa e inutilizzata da tempo, ma si può riaprire. Per ora tutto tace. Ivana non molla, finalmente ha trovato una risposta alla domanda che la tormentava. La disabilità le ha dato una chance per essere una persona migliore, le ha fatto aprire gli occhi su situazioni che prima ignorava, e dato la possibilità di far sentire la sua voce.