Parlando con una collega, si è confrontata sui i sacrifici che il suo lavoro comporta: orari non stabiliti, spesso si sta in ufficio sino a notte fonda, per 250 euro al mese.
Questo ovviamente significa dover rinunciare a tutto il resto.
La domanda che si pone riguarda la sua professione, ma in realtà è valida per chiunque.
È davvero necessario rinunciare ad avere una vita, per il lavoro?
“Ho 24 anni, sono laureata in Giurisprudenza e sono una praticante avvocato. È sempre stato il mio sogno, ma ogni tanto ho dei dubbi.
Mi sono confrontata con una collega sulle nostre giornate, i nostri orari di lavoro e le rinunce che ne conseguono.
Lei per esempio non ha orari stabiliti: sa che entrerà alle 8.30, ma non quando finirà. A volte sono le 19.30, altre volte sono le 22.
Il tutto per un compenso di 250 euro al mese, con i quali a Milano forse riesci a pagare l’abbonamento ai mezzi pubblici e il pranzo fuori tutti i giorni.
Questo comporta diverse rinunce: equilibrio vita-lavoro, ritmi sostenibili, l’indipendenza economica, spesso anche la rinuncia alla sanità mentale.
Lei mi ha fatto capire che non c’è altro modo di avere successo: se vuoi essere un ottimo avvocato, devi dedicarti completamente al lavoro, o resterai mediocre.
La sua risposta mi ha fatto riflettere: è davvero necessario rinunciare a tutto il resto per eccellere?
Siamo davvero dei professionisti che, per spiccare, devono vivere per lavorare?
Io non la penso e non la voglio pensare così, ma sarei curiosa di sentire le opinioni di chi l’ha sperimentato”.