Lui è Giuseppe. Nasce nel 1981 a Palermo. Ama i cavalli, fa equitazione. Il padre si chiama Santino Di Matteo. È un mafioso, faceva parte di Cosa Nostra prima di saltare il fosso e diventare collaboratore di giustizia. Vive sotto protezione, lontano dalla Sicilia. Giuseppe non lo vede da tempo. È il 23 novembre del 1993. Ha 12 anni. È al maneggio. Arrivano degli uomini, sembrano poliziotti. Sono venuti a prenderlo, lo porteranno dal suo papà. Giuseppe è felice. Piange, ringrazia. Dice papà mio, amore mio. Lo ripete. Papà mio, amore mio. Li segue. I familiari lo cercano pure negli ospedali. Il primo dicembre ricevono un biglietto con 2 foto del bambino e un messaggio. Tappaci la bocca. Il messaggio è chiaro. Il padre sta parlando troppo. Giuseppe è introvabile. I rapitori lo spostato in continuazione. Lo lasciano al buio, nella sporcizia. Lo trattano peggio di un cane. Il padre è disperato, ma non si piega. È l’11 gennaio del 1996. Giuseppe è in un casolare di San Giuseppe Jato. I rapitori gli ordinano di mettersi in un angolo, braccia alzate e faccia al muro. Lui ubbidisce. Gli mettono una corda al collo. Ci dispiace, tuo papà ha fatto il cornuto. Giuseppe è immobile, spossato, non capisce. Stringono. Muove solo gli occhi. Soffoca. Lo spogliano. Poi lo buttano nell’acido. C’è una gran puzza. Lasciano tutto lì e vanno a dormire. Giuseppe Di Matteo, u canuzzu, il piccolo cane, è morto. Per il suo omicidio, ma anche per le stragi in cui morirono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, è stato condannato all’ergastolo il boss Matteo Messina Denaro, latitante per trent’anni e arrestato oggi dai carabinieri del Ros a Palermo.
Papà mio, amore mio, diceva il piccolo Giuseppe Di Matteo mentre i falsi poliziotti lo portavano via
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