Lei è Federica. Nasce nel 1991 a Sant’Ilario d’Enza, in Emilia Romagna. Parla poco, ama il silenzio, le piace stare sola. Frequenta le Superiori. Le compagne si scambiano i rossetti, indossano per la prima volta la minigonna, hanno le prime cotte. Federica preferisce guardare i cartoni animati. Prova a condividere la sua passione. Nessuno la prende sul serio. Sei ridicola, smettila di fare la bambina. Quelle parole sono una sberla. Rompono la bolla in cui è immersa. D’improvviso Federica si sente inadeguata. Diversa. Ha 19 anni. Prende il diploma, cerca subito un lavoro. Vuole diventare autonoma in fretta. Vuole dimostrare agli altri, e a se stessa che può farcela. Quell’obiettivo la distrae dalla costante sensazione di essere sbagliata. Sfoglia gli annunci. Sono tanti, troppi. Federica è sopraffatta dalle informazioni. Non sa come gestirle, si blocca. Vorrebbe confrontarsi, chiedere aiuto, ma non vuole più sentirsi dire che è una bambina. Ne parla con una psicologa che consiglia di fare qualche test. Federica legge i risultati. Autismo lieve. È sollevata, e arrabbiata. Sente di avere addosso un’etichetta. La voglia di essere autonoma si fa più forte. Federica impara a gestire il caos e inizia a lavorare nella mensa di un asilo. È felice, ma la paga è una miseria. Stringe i denti per anni, poi trova il coraggio di cambiare. Fa il tirocinio in un supermercato. Appena pronuncia la parola autismo le reazioni sono due. C’è chi si spaventa, e chi prova compassione. Federica tira dritta, non vuole nascondersi. Oggi ha 31 anni, sta ancora lottando per trovare la sua strada. E ce la farà. Per se stessa e per tutti i ragazzi che come lei hanno preso tante porte in faccia. Vorrebbe guardarli negli occhi, dire loro di non arrendersi. E soprattutto di non vergognarsi. Non siamo diversi, siamo solo autistici.
Non voglio più sentirmi dire che sono diversa dagli altri: sono solo autistica, e non me ne vergogno
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