Francesco è disabile, ha un deficit dell’attenzione ed è iperattivo.
Ha frequentato per un anno il gruppo scout della città, ma a un certo punto è stato allontanato, perché troppo difficile da gestire.
Paola capisce che i capi scout sono volontari, magari non preparati per casi come suo figlio.
Ma pensare che l’unica soluzione sia escluderlo, piuttosto che trovare un modo per includerlo, fa davvero male.
“Mio figlio Francesco era felice di frequentare gli scout, riusciva a fare amicizia e si divertiva moltissimo.
Si trovava bene soprattutto con una capogruppo che era dolce e paziente, ma quando lei è andata via sono iniziati i problemi.
Sono stata sommersa di lamentele: mio figlio era irrequieto, disturbava e si esprimeva, secondo loro, in modo poco consono.
Fino a quando il nuovo capogruppo mi ha detto che Francesco sarebbe stato escluso dai lupetti, perché nessuno riusciva a gestirlo.
Ho letto la delusione e il dispiacere nello sguardo di mio figlio.
Piangendo, mi ha sussurrato all’orecchio: nessuno mi vuole.
Capisco le difficoltà, ma mio figlio non ha colpa o responsabilità dei suoi comportamenti.
Per non parlare della ferita che si riapre ogni volta che viene allontanato, e che aumenta la sua frustrazione e insicurezza”.