Lui è Adem Altan, fotografo da oltre quarant’anni.
Si trovava in Turchia a Kahramanmaras, epicentro del terremoto, che al momento ha fatto registrare 20 mila vittime.
Erano passate ventiquattr’ore dal sisma, e i soccorsi non erano ancora arrivati.
Adem ha visto un uomo seduto per terra: stringeva la mano della figlia morta sotto le macerie. Dalla sua bocca sono uscite solo poche parole: “Scatta una foto alla mia Irmak”.
Lo ha fatto.
E noi non dimenticheremo mai quello che ha visto.
Si trovava in Turchia a Kahramanmaras, epicentro del terremoto, che al momento ha fatto registrare 20 mila vittime.
Erano passate ventiquattr’ore dal sisma, e i soccorsi non erano ancora arrivati.
Adem ha visto un uomo seduto per terra: stringeva la mano della figlia morta sotto le macerie. Dalla sua bocca sono uscite solo poche parole: “Scatta una foto alla mia Irmak”.
Lo ha fatto.
E noi non dimenticheremo mai quello che ha visto.
“Stavo scattando delle foto davanti a un edificio crollato nell’epicentro del terremoto in Turchia.
Ho visto un uomo con la giacca arancione seduto immobile tra le macerie.
Stava stringendo una mano.
Mi ha chiesto di avvicinarmi.
La sua voce era rotta e tremante, sussurrava.
Scatta una foto a mia figlia Irmak, aveva solo 15 anni.
Ha mollato la mano solo per indicarmi il punto in cui le macerie l’avevano schiacciata, poi l’ha ripresa subito.
Mentre scattavo avevo le lacrime agli occhi. Continuavo a ripetermi: mio Dio, questo è un dolore insopportabile”.