Lui è Wichit. Vive a Bangkok, in Thailandia. È un sottufficiale della marina. È marzo. Wichit è in servizio sulla nave militare. Suona l’allarme. C’è un peschereccio in fiamme nel bel mezzo dell’Oceano Indiano! Wichit scatta sull’attenti, in me che non si dica lui e i compagni prendono il largo. Ecco l’imbarcazione, sta andando a fondo! Per fortuna un’altro bastimento li ha preceduti, e sta portando in salvo l’equipaggio. Wichit aiuta i naufraghi ad asciugarsi, li conta, ci sono tutti. Bene, pericolo scampato. Si preparano per tornare a terra. Wichit è fermo sul ponte, osserva il peschereccio mentre cola a picco. Stropiccia gli occhi, aguzza la vista. Impossibile! Tira fuori la macchina fotografica dallo zaino. Punta l’obiettivo, zooma, scatta una foto. L’immagine è nitida, Wichit la fissa incredulo. Sembra un gatto, è aggrappato a una trave. È assurdo, ma la foto parla chiaro. Cosa diavolo ci fa lì? Wichit controlla di nuovo. Appare un altro muso, dei baffi. I gatti sono due! I membri dell’equipaggio si sono dimenticati di loro, i felini sono condannati. Wichit non ci pensa due volte. Si tuffa. La nave è distante, Wichit dispiega le bracciate, nuota a perdifiato. Si avvicina ai gatti. Non sa se ridere o piangere. Sono addirittura quattro. Allunga la mano. Poveri piccoli, sono spaventati, tirano fuori le unghie, soffiano. Wichit non si scoraggia. Ci riprova. Si becca graffi, morsi, ma ne acchiappa uno e se lo piazza sulle spalle. Il gattino si aggrappa con gli artigli, Wichit nuota a fatica, deve stare attento a non farlo cadere. Raggiunge la sua nave, affida il micio ai compagni e torna dagli altri. Deve fare in fretta, il mare è agitato, basta un’onda e finiscono in acqua. Wichit ne afferra un altro, fa avanti e indietro. Lotta contro le correnti, le forze lo stanno abbandonando, ma non si ferma, finché l’ultimo animale non è salito a bordo. Wichit è stremato, si sdraia sul ponte della nave, i quattro gattini si stringono attorno a lui.
Lui è Wichit
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