Lui è Tommy. Ha 18 anni. Frequenta un liceo classico di Roma. Sono i primi di marzo. La notizia è eclatante. Due turisti cinesi in visita nella sua città sono risultati positivi al coronavirus. D’improvviso non si parla d’altro. A casa, con gli amici, il virus diventa l’argomento principale. È il 4 marzo. Tommy è in classe, gli insegnanti fanno un annuncio. Da domani la scuola è chiusa. Urla e salti di gioia. Tommy esce a festeggiare con i compagni. Lo aspetta una bella settimana di vacanza, due se tutto va bene. I giorni successivi sono una pacchia. Niente compiti, e la sera fuori fino a tardi. È l’8 marzo. Tommy sta ascoltando il telegiornale. La Lombardia diventa zona rossa. Il giorno dopo viene chiusa l’Italia intera. Tommy è incredulo. Osserva i genitori, hanno paura. Da quel momento è il caos. Non si esce più di casa, gli amici si vedono solo in videochiamata. E la scuola? Tommy si ritrova sommerso di compiti, alcuni insegnanti registrano la lezione e la inviano sul telefonino, altri no. Si passa alla didattica online. Tommy si attacca al computer, ma la connessione è scarsa, il video si interrompe ogni minuto. Tommy perde pezzi del discorso, ma non fa domande, il tempo è contato e non vuole rallentare gli altri. Intanto le 31 ore settimanali di didattica si riducono a 17. Tommy cerca di concentrarsi, di trovare nuovi stimoli, ma è difficile. La notte non dorme. Pensa ai genitori preoccupati per il lavoro, al futuro, agli amici, alla sua vita stravolta d’improvviso. E alla Maturità, o a quello che ne resta. Perché a 50 giorni dall’esame non c’è ancora nulla di certo. Niente prova scritta. La tesina si farà? Boh. Forse l’orale si svolgerà a scuola, forse. Si parla di maxi colloquio, ma nessuno ha spiegato cosa sia. Lo studio del programma va a rilento. Le interrogazioni online tanto annunciate non sono mai state fatte. Tommy si avvicina così all’esame più importante della sua vita. Solo, allo sbando. Lui e gli altri ragazzi della Maturità chiedono una cosa. Rispetto.
Lui è Tommy
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