Lui è Tomaso. Vive a Tolfa, in provincia di Roma. Ha 14 anni. È un ragazzo pieno di energia, sta sempre in giro con gli amici, o sul campo da calcio, anche con la febbre. Una febbre che di colpo non gli dà tregua. Fa dei controlli, i medici parlano di un brutto linfoma, di operazioni e di chemio. I genitori stramazzano, lui resta saldo. Si può curare? Bene, non c’è problema. Fa tutto quello che deve, tempo sei mesi e corre di nuovo dietro al pallone. Non si pone limiti, prova qualunque cosa gli passi per la testa. Si sente invincibile, in fondo ha sconfitto un tumore. Ha 23 anni. Tomaso fa il panettiere, il muratore, nel frattempo coltiva la sua passione per lo sport. È una mattina qualunque. Va in ospedale per i controlli di routine. Sbam! Il bastardo è tornato. Questa volta gli ha preso l’anca. Tomaso prova a giocarsela a viso aperto, ma non è più il ragazzino spensierato. Accusa il colpo. Va a letto, non riesce a chiudere occhio, ha paura di non risvegliarsi mai più. Un po’ alla volta impara a conviverci, passa due anni difficili, ma alla fine canta vittoria. Anche stavolta l’ha sfangata. Tomaso non perde tempo, si rimette in pista, diventa allenatore di calcio, trova lavoro in una residenza per anziani, e trova anche Milena, la donna della sua vita. Progettano di andare a vivere insieme, e di sposarsi. È il 2020. Ha 28 anni. Suona la sveglia, si alza. Le gambe cedono, crolla a terra. Prova a tirarsi su, ma non c’è verso. Il corpo va per conto suo. Corrono in ospedale. La risonanza parla chiaro. Le metastasi sono ripartite. Tomaso urla, ne dice di ogni. È incazzato di brutto. Per la terza volta finisce sotto i ferri, e questa volta lascia l’ospedale su una sedia a rotelle. Non sa se ridere o piangere. I medici dicono che ce la può fare, può recuperare. Tanto gli basta per andare avanti. Tomaso si aggrappa alla vita con i denti. A quella vita che non è stata tanto buona con lui, ma è la sua vita. Avrà il suo lieto fine. Cazzo se lo avrà.
Lui è Tomaso
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