Lui è Roberto. Vive a Brescia, in Lombardia. Lavora come libero professionista, è sposato, ha un figlio e un secondo maschietto in arrivo. È il 2003. Accompagna la moglie a fare un’ecografia. Non riesce a credere alle sue orecchie. Mi dispiace, il bambino nascerà con una grave atrofia, rimarrà vegetale a vita. Il medico consiglia l’aborto. Roberto e la moglie si scambiano uno sguardo, non servono parole, la gravidanza andrà avanti, costi quel che costi. Intanto si ritrova in un vortice. La creatura avrà bisogno di cure e sostegno. Lui sarà in grado? I mesi passano in fretta. Mentre la moglie è sotto i ferri per un cesareo d’urgenza, Roberto fa avanti e indietro in sala d’attesa. Lo chiamano, entra, è un fascio di nervi. Si ritrova tra le braccia uno scricciolo di neanche tre chili, con la pelle bluastra per la sofferenza patita. Roberto si sente mancare. No, non è pronto. I mesi successivi sono un susseguirsi di terapie e riabilitazione, Roberto le prova tutte, ma il bambino non muove un muscolo. È suo padre, si sente inutile, inadeguato. Vive sull’orlo del precipizio. Passano gli anni. Il piccolo Riccardo spegne tre candeline. Roberto lo porta in piscina, entra in acqua, lo sorregge. Il bambino annaspa in modo confuso, sconclusionato, allunga le gambette, cerca il suo papà. Roberto lo guarda. Una vampata di calore improvvisa gli attraversa il corpo, si sente esplodere. Succede una magia, o un miracolo. Ogni cosa va al suo posto, si sistema. Roberto capisce che lui e suo figlio, insieme, possono fare tanto, tutto, senza limiti. Si organizza con il lavoro, compra l’attrezzatura necessaria, prende il figlio e via. Lui e Riccardo camminano tra la neve alta, imparano a stare in equilibrio sugli sci, corrono sulle piste di atletica, suonano insieme nella banda del paese, pedalano in tandem fino a Roma. Condividono sconfitte e vittorie quotidiane. Ora il figlio ha 18 anni, non parla, si muove a fatica, il suo cammino in questa vita è pieno di difficoltà, ma quando è con lui, Roberto si sente invincibile.
Lui è Roberto
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