Lui è Renato. Nasce a Napoli nel 1904. Il padre è un noto chirurgo, la mamma è figlia del rivoluzionario russo Bakunin. Renato è un bambino sveglio e intelligente. I numeri sono il suo pane. All’università si iscrive a Ingegneria, poi cambia e passa a Matematica. È il 1926. Si laurea, diventa assistente di un famoso professore. Dopo qualche tempo vince il concorso per una cattedra a Padova, ma ci resta poco, preferite tornare nella sua Napoli. Renato è un matematico brillante, geniale, sregolato. Si presenta a lezione con una canottiera bianca e un impermeabile giallo. Arriva sempre con un quarto d’ora di ritardo. Se qualcuno si lamenta, risponde che un quarto d’ora delle sue lezioni contiene più scienza e informazione rispetto a due ore con altri professori. Agli esami gli basta una domanda per capire se uno studente è preparato. I bocciati sono tanti. Renato è un uomo raffinato, a modo suo. Indossa spesso abiti scuri, sgualciti e sporchi di gesso. Gira per strada agli orari più improbabili. Una notte la polizia lo ferma nei pressi della stazione. Non ha documenti, è trasandato. Renato dice di essere un professore universitario, ma gli agenti si mettono a ridere. Lo arrestano per accattonaggio. Renato passa la notte in cella. La mattina i poliziotti chiamano in università per verificare se quell’uomo è davvero chi dice di essere. Un collega chiede com’è vestito. Impermeabile e canottiera. Sì, è lui. Lo rilasciano. Renato è anche un poeta e un eccellente pianista. Si schiera fin da subito contro i regimi. Viene a sapere della regola fascista per cui gli uomini non possono portare a spasso i cani di piccola taglia, perché considerato poco virile, Renato esce a passeggio con un gallo a guinzaglio. Sono gli anni Cinquanta. La moglie lo lascia. La politica lo delude. Renato beve, accantona la Matematica, si chiude in se stesso. È l’8 maggio del 1959. Renato Caccioppoli si spara un colpo alla testa. Muore nella sua casa di Cellammare. È stato uno dei matematici italiani più importanti del Novecento.
Lui è Renato
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