Lui è Paolo. Nasce a Marsala, in Sicilia, nel 1939. La sua mamma è da sola, il marito è partito per la guerra. Paolo ha 3 anni. Sta giocando all’aperto. A terra c’è una palla. Prende la rincorsa e colpisce forte. Un botto. Buio. Paolo apre gli occhi. È in ospedale. La sua gamba sinistra non c’è più. Era una bomba inesplosa. La madre intanto ha ricevuto una lettera, il marito è prigioniero. Le resta solo il picciriddu. La donna si rimbocca le maniche. Si dedica totalmente al figlio, gli fa da madre, amica, sorella. Paolo cresce. È sulla sedia a rotelle. La mamma lo porta a scuola. L’insegnante le ride in faccia. Non vogliamo storpi. Paolo torna a casa con la sua carrozzella, le persone lo indicano, meglio stare alla larga da quelli come lui. La mamma non si arrende. Suo figlio studierà. Cuce per lui vestiti da bambina, lo fa passare per femmina e lo porta in una scuola per donne. Ogni mattina lo veste, lo pettina, gli fa i boccoli. Paolo non li sopporta, ma poi dalle bambine si sente accettato, felice. La madre lo accompagna fino in classe, lo saluta, si siede fuori e aspetta. Ha paura che qualcuno possa fargli del male. Ama quel figlio più di se stessa. Il giorno in cui le bombe cadono dal cielo, se lo carica sulle spalle e corre verso il rifugio. Paolo ha 10 anni. Bussano alla porta. C’è un uomo, la madre urla, piange. Paolo vieni, il tuo papà è tornato. Paolo è incredulo, spaventato. Per la prima volta guarda il padre negli occhi, ha il terrore che non lo accetti. Lui corre incontro al figlio, piange. Non ha nulla, la guerra ha portato via tutto, ma gli promette che in un modo o nell’altro lo farà camminare. L’uomo trova una bottega, commissiona una gamba di legno e cuoio. Paolo la indossa, è rigida, zoppica, ma è felice. Passano gli anni. Paolo studia, scopre il nuoto, viaggia, usa il motorino, la macchina. Muore nel 2014 circondato dalla sua famiglia. La figlia Francesca ricorda i suoi occhi, brillavano di una forza che non ha mai più visto in faccia a nessuno.
Lui è Paolo
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