Lui è Mikael. È un atleta svedese. È il 2014. Mikael è in Ecuador, partecipa all’Adventure Racing, circuito di sport estremi fra i più duri e difficili al mondo. Mikael è agitato, lo aspettano quasi mille chilometri di percorso, è l’impresa della sua vita e vuole portarla a termine a tutti i costi. La gara inizia. Mikael corre nel fango, si arrampica sulle rocce, prosegue in bicicletta, poi di nuovo a piedi. È il quarto giorno. Mikael si ferma per mangiare e riprendere fiato. Con la coda dell’occhio vede qualcosa, si gira. È un cane. Grosso, sporco, pieno di cicatrici. Mikael lo osserva, quel randagio è messo proprio male, eppure gli trasmette tanta dignità. Si alza e gli offre il suo pasto. Il cane lo spazzola in un secondo. Mikael gli fa una carezza, riparte. Passano le ore. Mikael è a pezzi, sta per cedere. Un’ombra gli appare alle spalle. È proprio lui. Mikael è incredulo. Basta, non seguirmi, è pericoloso. Il cane osserva il sentiero, gli passa davanti, cammina. Mikael stringe i denti e si rimette in marcia. È notte, raggiunge il fiume, deve attraversarlo in canoa. Mikael si infila nella barca, ma è a corto di energia, a stento regge il remo. Sente un tonfo nell’acqua. Ancora tu! Il cane muove le zampe, annaspa. Mikael lo osserva commosso. L’animale è distrutto, ma non molla. Mikael urla. Forza, possiamo farcela! Rema più che può, il cane nuota al suo fianco, raggiungono la riva. Mikael lo guarda negli occhi. Senti, ti piace il nome Arthur? Ripartono insieme, condividono lo stesso cibo, dormono l’uno accanto all’altro, si fanno forza, e dopo sei giorni tagliano il traguardo. Mikael affonda il viso nel pelo di Arthur, lo abbraccia. Grazie amico mio. Non si lasciano più. Mikael ha portato Arthur in Svezia, hanno continuato ad allenarsi insieme, finché Arthur ha appoggiato il muso sulla sua mano ed è volato in cielo. Mikael ha pianto per giorni, ma il suo amico gli ha insegnato a non mollare. Allora ha infilato lo zaino ed è ripartito.
Lui è Mikael
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