Lui è Mauro. Nasce a Roma, è figlio di contadini. È un bambino vivace, non sta mai fermo. Cresce. Gli piace correre. Si iscrive ad atletica. Ha la competizione nel sangue, ama le sfide. Sceglie il pentathlon moderno. Cerca i suoi limiti, li trova, li supera. È 9 volte campione Italiano a squadre, 3 individuale. Vince la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Los Angeles nel 1984. Mauro si sente forte. Sicuro. Indistruttibile. È pronto per la Marathon Des Sables, la madre di tutte le battaglie, la corsa estrema. 250 km in 6 tappe nel Sahara, check point ogni 10 km, solo un litro e mezzo d’acqua. Mauro ne parla a casa, la moglie non vuole. È pericoloso, abbiamo tre figli. Lui fa di testa sua. Parte. È il 14 Aprile del 1994. Mauro affronta un tratto di dune. Viene investito da una violenta tempesta di sabbia. Si mette al riparo. Aspetta otto ore. La gara è stata fermata, ma lui non lo sa. Mauro sa solo che i punti di riferimento sono spariti. Si mette in cammino. Passano delle ore. Mangia erba. Lascia tracce del suo passaggio. Finisce l’acqua. Brucia il sacco a pelo per bollire l’urina. Fa schifo. Non ha scelta. Vede elicotteri e aerei nel cielo. Lo stanno cercando. Lancia razzi. Non lo vedono. Arriva la sera. Ha freddo. Scava nella sabbia alla ricerca di calore. Mangia tutto quello che trova. Topi, serpenti, erba. I giorni passano. Mauro trova le sue stesse orme. Sta girando in tondo. È disperato. Le forze lo stanno abbandonando. Prova a tagliarsi i polsi. Ma è talmente disidratato che anche il sangue è troppo denso. Non riesce a morire dissanguato. Pensa alla moglie e ai figli. Si riprende. È il nono giorno. Mauro vede delle nuvole. Le segue. Trova delle pecore. C’è una famiglia di berberi. La raggiunge. Crolla a terra. È allo stremo. Ha perso 18 chili. Lo portano in un accampamento militare, poi in ospedale. Mauro Prosperi ha camminato per 10 giorni. Ha percorso 299 chilometri, nella direzione sbagliata. Dal Marocco è arrivato in Algeria. Gli danno un telefono. Chiama a casa. Risponde la moglie.
Lui è Mauro
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