Lui è Kevin. Vive a Chicago, negli Stati Uniti. Ha 13 anni. Si trova a un campus estivo, sta facendo tiro con l’arco, una ragazza si avvicina e indica la sua maglietta. Il nero ti dona molto, ed è anche il mio colore preferito. Kevin è imbarazzato, balbetta un grazie, lei allunga la mano. A proposito io sono Blake. Kevin e Blake parlano, ridono, fanno amicizia. Lui è cotto a puntino, ma non ha il coraggio di dichiararsi. Trascorrono insieme tutta la vacanza, si scambiano i numeri, mantengono i contatti per qualche anno, poi si perdono di vista. È il 2007. Kevin ha 17 anni, litiga con un compagno di classe, nessuno gli rivolge più la parola, anche i suoi amici gli voltano le spalle. È solo. Passa le giornate chiuso in casa, non mangia, non dorme, si sente vuoto. È stanco. Lascia un biglietto ai genitori, sale su un ponte, spinge il corpo in avanti. Il suo telefono squilla. Kevin lo ignora, torna a guardare il vuoto, fa un passo. Il telefono continua a suonare. Kevin risponde infastidito. Chi diavolo è? La voce suona familiare. Sono io, Blake, ti ricordi? Kevin resta di stucco. Sì, mi ricordo, cosa vuoi, sono impegnato. Blake si scusa, non sa spiegarlo, ha sentito che doveva chiamarlo per sapere come stava. Kevin è incredulo, si allontana dal baratro, si siede. Se proprio vuoi saperlo, stavo per uccidermi. Dall’altra parte scoppia il finimondo. Blake urla come una pazza. Cosa diavolo ti sei messo in testa, tu non devi morire, mi hai capito bene? Kevin non riesce a credere alle sue orecchie. Ride, piange. Torna sui suoi passi. È il 2016. Kevin chiede a Blake di raggiungerlo per una passeggiata. Camminano, chiacchierano, poi lui si fa serio, ha una confessione da farle. Grazie, mi hai ridato la voglia di vivere, dopo quella telefonata ho capito che ti amo, e non voglio perderti. Si inginocchia, le porge un anello. Blake lo prende in mano, ride. È un diamante nero. Ce ne hai messo di tempo, te l’avevo detto che è il mio colore preferito.
Lui è Kevin
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