Lui è Javier. Nasce in Sudamerica nel 1979. Vive con i genitori e i fratellini. Ha 5 anni. I suoi divorziano, il padre si porta via tutto. Non ci sono soldi, la madre è costretta a lasciare il paese per cercare lavoro. Javier resta con i nonni. Ha 9 anni. Uno zio lo violenta, una volta, due. Javier scappa, finisce in strada. Fa i conti con violenza, pioggia, fame. I ragazzi lo picchiano, gli adulti lo deridono. Javier prova a restare in piedi, se vuole sopravvivere deve diventare duro, spietato. Ruba, fa a cazzotti, si fa rispettare. Ha 15 anni. Ha bevuto, nella sua testa rivive l’abuso subito. Gli sale la rabbia. Lo acceca. Ha una mazza da baseball in mano. Lo zio, il mostro, è ai suoi piedi, pieno di sangue. Javier alza la mazza per dargli l’ultimo colpo. No. Si ferma. Non vuole diventare come lui. Che cazzo stava facendo? Deve cambiare, vuole cambiare. Usa i soldi messi da parte per riprendere gli studi, si diploma e si laurea in economia. Javier ha 25 anni, lavora in banca, ha casa, soldi, è una persona nuova. Passa qualche anno. Arriva la crisi, le banche chiudono. Javier perde tutto, da un giorno all’altro è di nuovo per strada. Cade in un vortice nero, alcool, sesso, droga lo aiutano a dimenticare. I fratelli lo mettono su un aereo e lo spediscono in Italia dalla madre. Javier ha una nuova occasione. Si rimbocca le maniche. Trova lavoro, conosce una donna, si innamora del suo splendido sorriso. Si sposano, nasce una figlia. Javier è in pace, si sente realizzato, invincibile. Passano 5 anni. I litigi con la moglie sono all’ordine del giorno, non è la persona che pensava. Ha fatto uno sbaglio. Javier si fa vedere solo per accompagnare la figlia a scuola. È triste, spento, sopporta, solo per lei. È il 2016. Javier incontra una ragazza. Lei è giovane e spensierata. Javier molla tutto, ricomincia, un’altra volta. Ha 40 anni. Sa lavare, stirare, cucinare, non alza più la voce, non usa la forza. Ha imparato che il rispetto è l’arma più potente. Suo figlio, nato da poco, lo vede e lo imita in tutto.
Lui è Javier
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