Lui è James. Ha due anni. È di Bootle, un piccolo paesino dalle parti di Liverpool. È il 12 ottobre del 1993. Sono le tre del pomeriggio. Fa freddo. James è con la madre Denise al centro commerciale. Lei apre la porta della macelleria, gli lascia la mano. Fa due passi, si volta, il figlio è sparito. Scatta l’allarme. Partono le ricerche. James viene trovato sui binari della stazione ferroviaria. Il suo viso è imbrattato di vernice blu. Il corpo è ricoperto di immondizia e tranciato in due parti. I pantaloncini sono abbassati. La città è sconvolta. Si cerca l’orco. Le indagini proseguono. Si analizzano i filmati. C’è un fotogramma. James Bulger è mano nella mano con un bambino. Avrà all’incirca dieci anni. Viene diffusa la foto. Una donna lo riconosce. Dice che lo ha visto il giorno prima. Era con un compagno. C’era un altro bambino. Piangeva. I due vengono fermati. Gli interrogatori vanno avanti per venti ore. Loro sono Jon Venables e Robert Thompson. Hanno dieci anni. I due si rimbalzano le colpe. La verità viene a galla. Hanno saltato la scuola e sono andati al centro commerciale con un piano: adescare un bambino. Sono riusciti a farsi seguire da James. Lo hanno seviziato e torturato. Poi lo hanno buttato in un canale a testa in giù. Lo hanno legato. Colpito con dei sassi. Con una barra d’acciaio. Lo hanno spogliato. Abusato. Poi lo hanno lasciato agonizzante sui binari e hanno aspettato che un treno concludesse la loro opera. Durante il tragitto dal centro commerciale, 38 persone hanno incontrato i due con un bambino piccolo recalcitrante, in lacrime. Nessuno è intervenuto. La madre di Thompson era alcolizzata. Lui era stato abusato dal padre. Venables era figlio di genitori divorziati, depressi, due fratelli con disturbi mentali. Sono stati processati e condannati a dieci anni ci carcere, poi ridotti a otto anni. Scarcerati, hanno cambiato identità. Venables è tornato in carcere per possesso di materiale pedopornografico.
Lui è James
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