Lui è Gottfried. Vive ad Hannover, in Germania, lavora come paramedico. È l’agosto del 1944. Gottfried viene aggregato all’esercito in partenza per l’Italia. I superiori gli danno un ordine categorico. Non aiutare mai gli italiani, sono nostri nemici. È pomeriggio, un uomo si presenta fuori dalla tenda di Gottfried. Aiuto, mia moglie Gelsomina sta partorendo, ma il bambino non riesce a uscire. I soldati scoppiano a ridere. Vattene di qui, italiano. Gottfried prende la borsa e raggiunge la donna. Gli basta uno sguardo, la situazione è disperata. Tira fuori gli attrezzi, pratica un’incisione sulla pancia di Gelsomina, con mani esperte fa nascere il bambino, e mette il figlio tra le braccia della mamma. Sei stata brava, andrà tutto bene. Gottfried torna da lei nei giorni successivi, si prende cura di Gelsomina e del piccolo Francesco, fino a quando arriva l’ordine. Si parte! Gottfried teme per la vita di quella donna e del figlio. Scrive un biglietto. Prega chiunque arrivi dopo di lui di non dare fuoco alla casa e di non uccidere nessuno, mette la sua firma e numero di matricola come garanzia. Saluta Gelsomina e parte per il fronte orientale. Cade prigioniero dall’Armata Rossa, finisce in un gulag, ne esce dopo quattro anni. Una volta a casa, racconta a suo figlio di Gelsomina e del bambino. Avrei voluto fare di più, spero si siano salvati. Passano gli anni, Gottfried si ammala, suo figlio Johannes vuole esaudire il suo ultimo desiderio, cerca i due italiani, ma trovarli è impossibile. È il 2011. Johannes riceva una lettera indirizzata a suo padre. Sono Francesco, il bambino che hai salvato tempo fa, mia mamma mi ha raccontato di te in punto di morte, mi piacerebbe ringraziarti. Johannes non riesce a crederci, scrive la risposta tra le lacrime. Purtroppo mio padre è morto, io sono suo figlio, sarò felice di incontrarti. Johannes e Francesco si danno appuntamento ad Hannover. Si stringono la mano, poi si abbracciano. Non hanno legami di sangue, ma si sentono fratelli.
Lui è Gottfried
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