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Lui è Giuseppe

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  • Bambini/Figli, Sociale, Storie

PUBBLICATO IL

  • 1 Giugno 2021

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Lui è Giuseppe. Nasce nel 1981 a Palermo. Ama i cavalli, fa equitazione. Il padre si chiama Santino Di Matteo. È un mafioso, faceva parte di Cosa Nostra prima di saltare il fosso e diventare collaboratore di giustizia. Vive sotto protezione, lontano dalla Sicilia. Giuseppe non lo vede da tempo. È il 23 novembre del 1993. Ha 12 anni. È al maneggio. Arrivano degli uomini, sembrano poliziotti. Sono venuti a prenderlo, lo porteranno dal suo papà. Giuseppe è felice. Piange, ringrazia. Dice papà mio, amore mio. Lo ripete. Papà mio, amore mio. Li segue. I familiari lo cercano pure negli ospedali. Il primo dicembre ricevono un biglietto con 2 foto del bambino e un messaggio. Tappaci la bocca. Il messaggio è chiaro. Il padre sta parlando troppo. Giuseppe è introvabile. I rapitori lo spostato in continuazione. Lo lasciano al buio, nella sporcizia. Lo trattano peggio di un cane. Il padre è disperato, ma non si piega. È l’11 gennaio del 1996. Giuseppe è in un casolare di San Giuseppe Jato. I rapitori gli ordinano di mettersi in un angolo, braccia alzate e faccia al muro. Lui ubbidisce. Gli mettono una corda al collo. Ci dispiace, tuo papà ha fatto il cornuto. Giuseppe è immobile, spossato, non capisce. Stringono. Muove solo gli occhi. Soffoca. Lo spogliano. Poi lo buttano nell’acido. C’è una gran puzza. Lasciano tutto lì e vanno a dormire. Giuseppe Di Matteo, u canuzzu, il piccolo cane, è morto. L’uomo che ha ordinato il suo rapimento e la sua uccisione è il boss Giovanni Brusca, u verru, il porco. Lui ha azionato la bomba che ha fatto esplodere l’auto di Giovanni Falcone a Capaci. Lui ha ordinato o eseguito un centinaio di ammazzatine. Il porco viene catturato e condannato all’ergastolo. Diventa collaboratore di giustizia. Oplà. Pena ridotta a 30 anni di carcere, e 80 permessi premio. È il 2019. Il suo avvocato chiede per la nona volta gli arresti domiciliari. La Procura nazionale antimafia dice sì. Li merita. L’ultima parola spetta alla Cassazione. Il resto è storia di oggi. Giovanni Brusca ha pagato il suo conto con la giustizia ed è un uomo libero. Ma sempre un porco.

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