Lui è Getúlio. Vive a Porto Alegre, in Brasile. Ha 4 anni. Getúlio non si è ancora alzato in piedi. Gattona, e basta. Fa dei controlli, i medici parlano chiaro. Paralisi cerebrale. Getúlio non camminerà mai, è condannato a passare tutta la vita sulla sedia a rotelle. Getúlio guarda i genitori. Piangono. Lui non capisce. Lui capisce soltanto che i compagni camminano, corrono in cortile, e lui vorrebbe, ma non riesce, non riesce a giocare, a inseguirli, acchiapparli, farsi acchiappare, cadere, rialzarsi, farsi male. Getúlio può solo guardare, in disparte. Piange. Il padre gli costruisce una porta nel giardino di casa. Getúlio si asciuga le lacrime, usa le ginocchia, le mani, le braccia, impiega ogni parte del suo corpo per andare dietro al pallone. Fa un male cane, ma non molla. Ha 7 anni. Getúlio si alza in piedi, muove i primi passi. I genitori lo guardano increduli. Lui è orgoglioso. Ce l’ha fatta, ora non lo ferma più nessuno. Si allena tutti i giorni, corre, corre più che può dietro al pallone, diventa il portiere di una squadra di calcio. Intraprendenza, coraggio, forza di volontà. Getúlio ha 14 anni. Ha scalato la montagna più difficile, ora vuole una montagna vera. Si rivolge a una società specializzata, fa un accordo con l’Alta Badia, in Italia, e trova la sfida della vita. Una spedizione sulle Dolomiti, lungo la via della Marmolada, con passaggi su roccia e neve. Lo accompagneranno tre alpinisti. Un elicottero e una squadra di soccorso saranno pronti a intervenire nel caso di imprevisti. Non è solo, ma non sarà una passeggiata. Se la sente? Getúlio non vede l’ora. Parte. È più dura del previsto, Getúlio è in difficoltà, i suoi compagni consigliano di tornare indietro, lui scuote la testa, non vuole fermarsi. Mi sento bene, sono felice. Dopo nove ore di scalata raggiungono Punta Penia, a più di 3 mila metri. Getúlio Felipe Da Silva si guarda intorno, ce l’ha fatta. Esulta. Che bella la vita.
Lui è Getúlio
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