Lui è Enzo Tortora. È uno dei volti più popolari della tv. La sua trasmissione, Portobello, frantuma ogni record di ascolto. È il 17 giugno del 1983. Sono le 4 del mattino. Enzo Tortora viene arrestato a Roma. Dei criminali di professione hanno fatto il suo nome. Tanto basta perché venga trattato come un delinquente. Quando esce dalla questura per essere trasferito in carcere, la gente urla “ladro”, “pezzo di merda”. La sua foto con le manette ai polsi fa il giro del mondo. Umiliato, ostentato come un trofeo. Prima che i magistrati si scomodino per interrogarlo passano 6 giorni. Tortora li passa dietro le sbarre. Solo, smarrito e in cattive condizioni di salute. È fine giugno, l’estate è appena iniziata, è tempo di vacanze. Per il secondo interrogatorio deve aspettare altri tre mesi in cella. Fuori, nel frattempo, la stampa alimenta una gogna senza precedenti. Inizia il processo di primo grado. Il giornalista si candida all’Europarlamento nelle fila dei Radicali e viene eletto con 500 mila voti. La gente crede ancora in lui. Il 17 settembre del 1985 arriva la sentenza: condanna a 10 anni di carcere. Tortora si consegna in piazza Duomo, a Milano. I giudici lo definiscono “Individuo socialmente pericoloso” e “cinico trafficante di morte”. Nelle indagini che portano alla condanna succede di tutto: i centrini inviati da un pregiudicato a Portobello vengono scambiati per cocaina. Il nome Enzo Tortona, nell’agenda di un camorrista, viene confuso per Enzo Tortora. Errori destinati a restare impuniti. Anche quando Tortora viene assolto in appello e la Cassazione mette il sigillo sulla sua innocenza. I magistrati non pagheranno per i loro errori e faranno carriera, lui morirà di tumore il 18 maggio del 1988. Sono passati 21 anni. Queste sono parole sue: “Solo tre categorie di persone non rispondono dei loro crimini: i bambini, i pazzi e i magistrati”.
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