Lui è Claudio. Nasce a Collegno, Torino, nel 2010. È un bambino bello, sano, vispo. Ha 20 giorni. Vomita, perde peso. Lo ricoverano. Valvola del piloro ostruita. Bisogna agire subito, o muore. L’operazione riesce. Ha 18 mesi. Claudio ha le convulsioni. I genitori si spaventano. Corrono in ospedale. I dottori danno la colpa alla febbre. Qualche medicina e lo rimandano a casa. Passa un po’ di tempo. Claudio ha altre crisi. Mamma e papà dicono basta. Qualcosa non va. Fanno analisi più approfondite, ma non si trova la causa. Claudio ha 3 anni. Fa poca pipì, solo qualche goccia. Gli trovano un polipo nella vescica. Devono operarlo subito. Lo tolgono. Ma non è finita. Deve andare in bagno di continuo. E ogni volta è un dolore atroce. Le crisi lo tormentano. Finisce altre volte sotto i ferri. È il 2015. Claudio peggiora, rischia la dialisi. I genitori provano a scongiurarla in tutti i modi. Si torna in sala operatoria. Claudio non capisce. È esausto, arrabbiato, irriconoscibile. Urla. Perché mi state facendo questo? Voi non mi volete più bene. Mamma e papà sono distrutti, si sentono dei mostri. Il loro bambino non ride più, ha lo sguardo spento, triste. Resta chiuso in casa, non gli importa di niente. Il Claudio dolce, solare e determinato che conoscevano è sparito. Passa del tempo. Claudio è al campetto, sta guardando una partita di calcio. È incantato. Segue il pallone, mima i movimenti, incita i giocatori. Vorrebbe entrare in campo con loro. Mamma, papà, io giocherò a calcio. Loro non sono d’accordo, è pericoloso. Ma Claudio è raggiante, come non lo era da tempo. E sia. Claudio rinasce. Ritrova energia, grinta. Diventa il leader della squadra. Sprona i compagni, li guida, li incita. E si schiera sempre dalla parte di chi è debole, di chi soffre, fosse anche per una caviglia slogata. La mamma lo guarda. Il suo bambino ha 10 anni, ma sembra un uomo. Lei sa che il futuro è incerto e tutto da scrivere, ma una cosa è certa, Claudio sarà padrone della sua vita.
Lui è Claudio
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