Lui è Carlos, nasce nel 1963 a Rio Pardo, in Brasile. Sogna di fare il calciatore, si allena ogni pomeriggio, ma i suoi allenatori scuotono la testa. Rassegnati, non hai talento. È il 1978, Carlos ha 15 anni, in qualche modo riesce a impressionare un talent scout che gli propone un contratto di tre anni. Carlos è felice, ma appena scende in campo con la nuova maglia, tutti ricominciano a scuotere la testa. Lo mettono in panchina, ci resta per tre anni, poi torna nella sua vecchia squadra. Con il pallone non ci sa fare, ma fuori dal campo è loquace e persuasivo. Frequenta tante feste, fa amicizia con facilità. È simpatico, elegante, alla mano, riesce a convincere chiunque a fare qualunque cosa. Tutti lo chiamano Kaiser. Carlos si sente apprezzato, finalmente ha capito qual è il suo talento. Cambia club, intorta il mister e riesce a non giocare per mesi interi. Una volta ha un dolore improvviso al muscolo, un’altra falsifica le analisi mediche. Approda in Europa, convince l’allenatore a lasciarlo fuori dal campo. Intanto partecipa a un party dietro l’altro, quando ne ha abbastanza torna in Brasile. Un giorno l’allenatore lo schiera come titolare. Carlos è sorpreso, deve trovare un modo per uscire dall’impiccio. Durante il riscaldamento i tifosi lo insultano per i capelli lunghi, Carlos ne approfitta, risponde per le rime, e in un attimo scatena una rissa. Viene espulso, e la partita non è ancora nemmeno iniziata. Va nello spogliatoio, il presidente della squadra lo raggiunge. È furioso. Carlos si gioca il tutto per tutto. Mette su la faccia più dolce e commovente di cui è capace. Presidente, Dio mi ha dato due padri, uno è morto, l’altro è lei. Il presidente lo abbraccia tra le lacrime. Passano gli anni. Carlos cambia una squadra dietro l’altra, se per sfortuna gli capita di dover giocare, dopo due scatti si accascia al suolo toccandosi la gamba. È il 1992. Carlos ha 29 anni. Dà l’addio a una splendida carriera. Viene ricordato come la più grande truffa della storia del calcio.
Lui è Carlos
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