Lui è Antonio. Nasce a Roma nel 1991. Non sta bene, fa dei controlli. Ha un problema al sangue, gli fanno un prelievo di midollo osseo. Antonio è sdraiato sul letto d’ospedale. È notte. Non riesce a dormire. Trema. Ha paura. Teme di chiudere gli occhi e di non svegliarsi mai più. Le braccia piene di tubi. Gira la testa. C’è qualcuno. Una strana figura. Ha una grossa testa deforme. Lo fissa. Antonio è terrorizzato. Cazzo, è un fantasma. Passa qualche giorno. Lascia l’ospedale. È ossessionato dall’idea di morire. Frequenta le Medie. A cosa mi serve la scuola, tanto non vivrò a lungo? Gira per le strade. Senza fare un cazzo. Ha 14 anni. Lascia la scuola. Non ha niente. Solo qualche rima buttata giù. Il rap è la sua latrina. Dentro ci piscia tutto ciò che odia. Paura, rabbia, frustrazione. Si trova uno pseudonimo e compone musica. È il 2011. Partecipa a una gara di freestyle organizzata da un’etichetta discografica. Non arriva in finale. Perde. È un fallito di merda. Va in crisi. Trascorre le giornate al parchetto. I ragazzi più grandi lo prendono per il culo. Antonio è incazzato nero, si sente in prigione. È il 2016. Gli viene un’idea figa. Compra una maschera antigas. La indossa. Si guarda allo specchio. È uguale a quel fantasma del cazzo in ospedale. Gli piace. Si sente libero, forte. Antonio Signore scompare. Nasce Junior Cally. Quando canta è duro, spietato. Lei si chiama Gioia. Balla mezza nuda, dopo te la dà. Si chiama Gioia perché fa la troia. L’ho ammazzata, le ho strappato la borsa. C’ho rivestito la maschera. Junior Cally si riascolta. Si piace. Spacca raga, spacca di brutto. È il 2017. Vince un disco di platino, un’etichetta lo mette sotto contratto, la sua carriera decolla. È il 2020. Lo chiamano a Sanremo. Scattano le polemiche. I suoi testi vengono definiti violenti e sessisti. Junior Cally dice che il rap è un’arte, e deve essere lasciata libera di esprimersi. O la si accetta, o si è ipocriti.
Lui è Antonio
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