Lui è Andrea. Nasce a Lajatico, in provincia di Pisa, nel 1958. Viene al mondo con un glaucoma. I medici avevano consigliato alla madre di abortire, ma lei non ha voluto saperne. Tirerò su mio figlio come qualunque altro bambino. Non è facile. Andrea vede solo ombre e colori, il dolore agli occhi non gli dà tregua. Si calma solo con la musica. Cresce. La nonna gli insegna a leggere normalmente, poi i genitori lo mandano in collegio, dove impara il Braille. Ha 12 anni. È un ragazzino irrequieto. Ama il calcio sopra ogni cosa. Durante una partita si becca una pallonata sull’occhio destro. Il dolore è lancinante. Lo portano in ospedale, la sua vista è a rischio. Andrea è disperato. I genitori girano le cliniche migliori per tentare l’impossibile. Andrea è ricoverato a Torino, nella sua stanza c’è un uomo russo amante della lirica. La ascolta ogni giorno. Andrea è incantato. La musica lo calma. Dimentica il dolore, come quando era piccolo. È l’unica cosa che non lo fa impazzire quando i medici gli dicono che non recupererà mai più la vista. La madre lo prende da parte. Andrea, sei cieco, dovrai impegnarti il doppio per raggiungere i tuoi obbiettivi. O ti fai distruggere, o ne esci vincente. Andrea accetta la sfida. La madre non gli permette di adagiarsi sulle sue pene. Lo obbliga a guardarla negli occhi quando parla, lo manda a equitazione, gli insegna a muoversi nelle stanze con disinvoltura. Andrea diventa sempre più sicuro, tanto da iscriversi a Giurisprudenza e al Conservatorio. La sera canta e suona con gli amici in un paio bar. Presa la laurea, lavora in uno studio legale, ma non è soddisfatto, la madre gli ha insegnato a non mollare. Andrea vuole cantare. Ce la farà. È il 1992. Zucchero lo nota, gli propone di cantare insieme Miserere. La sua voce da tenore incanta tutti. Una casa discografica lo mette sotto contratto. Due anni dopo debutta a Sanremo. Il successo lo travolge. Andrea Bocelli è famoso. Ha sconfitto le sue paure e lo deve solo a sua madre. È stata la prima a credere in lui.
Lui è Andrea
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