Lui è Alessandro. Nasce a Milano nel 1992. La madre è sarda, il padre egiziano. Alessandro cresce nella periferia di Gratosoglio, trascorre le giornate insieme ai cugini, in bicicletta lungo il naviglio, poi di corsa nel parchetto sotto casa, giochi e risate. Figlio mio, amore, vieni qua. È il padre che lo chiama. Usa sempre la stessa frase per farlo rientrare. Alessandro corre in casa, impugna la sua trombetta giocattolo e suona, la musica gli piace da matti. Il padre vorrebbe farne un pescatore, con la scusa del barbecue lo trascina all’idroscalo e gli mette la lenza in mano. Alessandro ci prova, ma non è cosa. Ha 5 anni. I genitori si separano, da un giorno all’altro il padre scompare, non lo chiama più dalla finestra. Alessandro non fa domande. Cresce. La trombetta finisce in un angolo, ma la voglia di suonare non passa. La madre lo iscrive a un corso di solfeggio. Alessandro scopre il meraviglioso mondo delle note, se ne innamora. Ha 8 anni. Il padre si fa sentire, gli propone un viaggio in Egitto. Alessandro è emozionato, finalmente passerà del tempo con lui. Scopre le piramidi, le sfingi, odori e colori mai visti, poi a cavallo nel deserto, un sogno. Finisce l’estate. Il genitore lo rispedisce a casa, Alessandro piange, l’addio è doloroso, straziante, ma ci deve fare il callo. Torna a Milano, si butta nella musica. Studia chitarra e canto. La mamma lo mette in riga. Continua, ma non trascurare la scuola. Alessandro si impegna e vince la medaglia come miglior lettore di libri. Passano gli anni. Il padre è sempre più distante. Alessandro comincia a capire, sentire, di essere stato abbandonato. Prova rabbia. Passa le giornate sui mezzi, scrive canzoni. Finisce il liceo, trova lavoro come barista, fa i turni all’alba pur di avere il pomeriggio libero per studiare pianoforte. È il 2019. Alessandro si presenta sul palco di Sanremo come Mahmood. Canta, sputa fuori tutto, per il padre, per se stesso. Stravince. Lasci la città ma nessuno lo sa, ieri eri qua, ora dove sei papà.
Lui è Alessandro
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