Lui è Aboubakar. Nasce in Costa d’Avorio. Cresce nel suo paese. Va a scuola, studia, guadagna qualche soldo lucidando scarpe all’angolo della strada. Ha 19 anni. Si è appena diplomato. Mette le sue quattro cose dentro una borsa e parte. Arriva in Italia. Non conosce la lingua, non sa dove sbattere la testa. Trova aiuto e riparo tra gli ultimi, gli invisibili. Lavora come bracciante nelle campagne, tocca i pomodori, le mele, l’uva che finiscono sulla tavola di chi lo guarda con espressione schifata, lo evita come la peste, lo chiama marocchino. Aboubakar condivide la sua condizione di schiavitù con tanti giovani italiani sfruttati, umiliati, trattati come merce al mercato delle braccia. Lui non ci sta. Dice basta. Alza la testa. Diventa sindacalista. Non per scelta, ma per necessità. Gira l’Italia, dorme nelle baracche. Denuncia lo sfruttamento dei migranti nei campi, la disparità salariale tra uomini e donne di qualsiasi colore della pelle e nazionalità. Anche italiane. Si schiera a fianco dei riders, quelli che trasportano cibo e patiscono la fame. Aboubakar lavora, difende diritti, studia. Si iscrive all’università, si laurea in Sociologia. Tanti si rivolgono a lui in preda alla disperazione. Chiedono aiuto. Trovano ascolto, dolcezza, pazienza. Aboubakar li guarda dritto negli occhi. Tu non sei il vestito che ti è stato cucito addosso, tu sei una persona. Aboubakar raccoglie la sua esperienza sul campo e il suo pensiero in un libro, Umanità in rivolta, che diventa un manifesto politico per un nuovo modello di società senza le diseguaglianze prodotte dal capitalismo e dalla globalizzazione. Una società che punti sulla solidarietà e sul lavoro ben pagato come via per la ricerca della felicità. Aboubakar Soumahoro però deve farsela a piedi. Arrivato a Roma, ha fatto per salire in un taxi, ma l’autista lo ha bloccato a muso duro. Tu sali davanti, o non entri nel mio taxi. Lui ha indietreggiato, stordito, incredulo, scioccato. Poi si è guardato lo spettacolo. Due uomini bianchi che salivano in taxi, il suo taxi. Dietro.
Lui è Aboubakar
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