Loro sono Auguste e Louis. Vivono a Besançon, in Francia. Sono appassionati di fotografia, ne scattano tante, una dietro l’altro, poi le mettono tutte insieme grazie al proiettore, un macchinario di loro invenzione, e viene fuori una roba pazzesca. Auguste e Louis riguardano quelle immagini all’infinito, sono sicuri di avere tra le mani qualcosa di grosso. Un giorno si caricano la macchina da presa sulle spalle e vanno in stazione. Si fanno largo tra la folla, piazzano l’attrezzatura in un angolo e puntano l’obiettivo sui binari. I secondi sembrano infiniti. Auguste stropiccia i baffi, Luis si morde le unghie. D’improvviso c’è un fischio. Nel cielo sale uno sbuffo di fumo. La locomotiva avanza, il macchinista suona ancora, la gente indietreggia, i passeggeri salutano dal finestrino. Il treno si ferma, spalanca le porte. Sali, scendi, la banchina è affollata, c’è confusione. Nella mischia compare una donna, tiene per mano due bambini. Auguste la indica, caccia un grido. Ma quella è la mamma con i nostri nipoti! Luis si sbraccia, fa segno di spostarsi, ma ormai la scena è fatta. Una volta a casa Auguste e Louis riesaminano i fotogrammi. Sono in bianco e nero, senza sonoro, messi in successione danno vita a una scena che hanno vissuto, ma che vedono per la prima volta. È il 1896. Auguste e Louis vanno a Parigi. La sala è piena. I due fratelli si piazzano in un angolino, scrutano la folla. Le luci si abbassano. Un raggio attraversa la penombra, colpisce lo schermo. All’orizzonte appare un puntino nero. Cresce, si dilata, diventa una macchia scura, poi una forma dai contorni definiti, è vicina, sempre di più. Aiuto, una locomotiva ci viene addosso! Si salvi chi può! Un anziano si scansa, una ragazza scappa fuori, una signora si rifugia dietro la poltrona, gli adulti sbirciano attraverso le dita, i bimbi osservano a bocca aperta. Il treno irrompe nella sala con uno sbuffo di vapore. Auguste e Louis si abbracciano tra le lacrime. Il cinema avrà futuro, lo sentono.
Loro sono Auguste e Louis
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