Lei è Vera. Vive a Canavese, in Piemonte. È una bambina, entra in casa dai nonni. Rimane imbambolata. Dallo stereo esce una musica che non aveva mai sentito prima. Che strana, che cos’è? Il nonno sorride. Bambina mia, questa è la musica classica. Vera chiude gli occhi. Cresce, ha 12 anni. Cammina per strada, un suono la cattura. È un violinista! Le note che sprigiona nell’aria le entrano dentro e la fanno vibrare. Vera corre a casa. Mamma, voglio suonare il violino. Prende lezioni, impara a leggere lo sparito, a muovere le dita. Ha 18 anni, entra in Conservatorio, scopre l’arpa, il violoncello, la viola. Scoppia di gioia. Passa qualche mese. Vera prende lo strumento, fa scorrere le dita, qualcosa non va. La mano sinistra è rigida. Tenta di muoverla. Non ci riesce. Corre dal medico. Signorina, stia tranquilla, non è nulla. Vera cerca di non pensarci, ma non è più la stessa. Resta indietro con il programma, i compagni la guardano dall’alto in basso. Molla il conservatorio, studia da privatista. La pressione diminuisce, il dolore aumenta. Consulta altri medici. Ha una distonia focale, una malattia rara, dovrà conviverci per tutta la vita. Vera legge lo sparito, nella sua testa si compone la melodia, ma il corpo non risponde. È frustrata, arrabbiata. La musica le dava gioia, ora è solo dolore. Chiude gli strumenti in soffitta, elimina ogni suono dalla sua vita. Passano sette anni. Vera lavora come educatrice cinofila, impara che gli animali sono sensibili alla musica. Un’amica la punzecchia. Perché non ti esibisci per loro? Vera si chiude a riccio, poi ci pensa e non riesce a dormire la notte. Torna in soffitta, guarda gli strumenti, li tocca. Prende l’arpa. Chiude gli occhi. Si lascia andare. Oggi Vera suona il violoncello, ha abbandonato gli spartiti, improvvisa, segue la musica che le sgorga da dentro. È insolita, fuori da ogni schema, ma è sua. Si esibisce nei vecchi manicomi e nei luoghi dove si sono consumate terribili ingiustizie. Vuole dare voce a chi si è sentito emarginato, diverso.
Lei è Vera
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