Lei è Teresa. Ha 25 anni. Vive a Torre del Greco, Napoli. Fa l’infermiera pediatrica. È marzo. Scoppia l’emergenza coronavirus. Il suo reparto viene trasformato per accogliere i pazienti contagiati. Teresa lavora lì da poco, non si tira indietro. Ha solo una paura, la madre. È una donna malata e Teresa non vuole correre il rischio di contagiarla. Si mette alla ricerca di un appartamento o di una stanza in affitto per il tempo dell’emergenza. La trova, ma appena dice che è un’infermiera, il proprietario le fa capire senza troppi peli sulla lingua che non la vuole tra i piedi. Teresa ritenta, ma la solfa è sempre la stessa. Sei infermiera, sei pericolosa. Dopo un mese di porte in faccia, si arrende. Prende le dovute precauzioni, e rimane nella sua abitazione. È il 30 aprile. Teresa torna a casa dopo una giornata in reparto. Apre il cancello. C’è un foglio attaccato alla sua casella postale. Teresa si avvicina, legge. Il suo cuore si ferma. Grazie a te e a tua figlia per averci portato il covid nel palazzo. Teresa non crede ai suoi occhi, pensa a uno scherzo, forse ha capito male. Rilegge. Corre in casa e mostra la lettera al padre, anche lui lavora in ospedale. L’uomo è amareggiato. Teresa non riesce a spiegarselo. È nata e cresciuta in quel palazzo, tutti la conoscono. Ha sempre avuto ottimi rapporti con i condomini che considera parte della famiglia. Nei momenti di bisogno sono abituati a darsi tutti una mano, c’è chi aggiusta l’impianto elettrico, chi le tubature, e se qualcuno ha problemi di salute, Teresa fa la sua parte. Quella lettera è un fulmine a ciel sereno. Teresa capisce la paura, la giustifica anche, ma mai si sarebbe aspettata qualcosa del genere. Non prova rabbia, ma tristezza. Teresa Vetro non ha idea di chi possa essere stato. Ha pensato di andare dai carabinieri, ma non l’ha fatto. Vorrebbe solo che questa persona si facesse avanti, la guardasse negli occhi e le chiedesse scusa.
Lei è Teresa
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