Lei è Siria. Abita a Roma. È una bambina, sta camminando. Sente una scarica nel corpo, prova un dolore lancinante, così forte che cade a terra. Chiama la mamma. Aiuto, cosa succede? La risposta finale è una mazzata. Siria ha una malattia genetica, dolorosa, debilitante, che le renderà difficile qualsiasi cosa, anche camminare, ma dovrà conviverci, perché non c’è cura. Cresce. Gli amici la invitano a giocare, Siria rifiuta, si rifugia tra le braccia dei genitori, ha paura di correre, di stare in piedi, si sente diversa. Va a scuola, il padre la accompagna e la va a prendere, in classe tutti la aiutano, le amiche le portano i libri, sono attente e premurose, sempre pronte a offrirle il braccio. Siria è grata, ma si sente chiusa in una bolla. Ha 14 anni. Torna a casa, vede lo scooter del padre. Le viene una pazza idea. È agitata, emozionata. Monta in sella, accende il motore, parte. Wow! Siria urla dalla gioia. Si sente libera e felice. Le piace un mondo. Arriva a una curva, la prende troppo larga, esce di strada, cade. È a terra, sotto shock. Si tocca le braccia, le gambe. Sta bene. Non riesce a trattenersi, scoppia a ridere. Chi l’avrebbe mai detto, cadere è bello. Si rialza e torna a casa, sulle sue gambe. Mamma, papà, voglio iscrivermi all’alberghiero. Proprio tu che hai paura anche a fare due passi? Sì, e non vedo l’ora. E sia. Siria passa ore dietro ai fornelli, è debole, stanca, il dolore non le dà tregua, stringe i denti. Resta in piedi. È maggiorenne, prende la patente, diventa più autonoma, si sente più forte che mai. Siria ha 22 anni. Sta ancora cercando una cura per la sua malattia, a volte prova molta rabbia, vorrebbe che quei dolori sparissero. Ma non può farci nulla. Si concentra sul futuro. Vuole trovare un lavoro, rendersi indipendente e perché no, anche riuscire a ballare. Non sa cosa farà da grande, non sa cosa ne sarà di lei. Sa soltanto che vuole essere la protagonista della storia della sua vita.
Lei è Siria
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