Lei è Simone. Nasce a Columbus, negli Stati Uniti nel 1997. La mamma beve, si droga, entra ed esce di prigione. Simone, la sorella e il fratello crescono con i nonni. Simone è vivace, salta, si arrampica ovunque. Nonna Nellie non ne può più, la iscrive a un corso di ginnastica artistica. Simone torna a casa estasiata. Quando è in aria dimentica ogni paura, prova un senso di libertà e sicurezza. L’allenatrice le fa i complimenti, Simone aumenta le ore di esercizi, volteggia senza sosta. È il 2010. Simone ha 13 anni. Debutta nei campionati Juniores. Lascia tutti a bocca aperta e vince il primo oro. È felicissima, ma vuole di più. Approda in nazionale, colleziona un successo dietro l’altro, batte tutti record. Le Olimpiadi di Rio sono un trionfo. Simone tocca il cielo con dito, ma poco dopo qualcosa dentro di lei si incrina. Perde il sorriso, si chiude in se stessa, smette di saltare. È il 2018. Scoppia uno scandalo. Il medico della Nazionale di ginnastica viene accusato di abusi sessuali. Simone decide di uscire allo scoperto. Davanti alle telecamere confessa la violenza subita, la paura, il dolore, il senso di colpa. Ma ora basta piangere, voglio tornare a volare. Dopo quella dichiarazione ritrova il ritmo sulla trave, riprende gli esercizi, si sente più sicura. La calma però dura poco. Suo fratello viene accusato di triplice omicidio. Simone sprofonda nel dolore, si butta a capofitto nella ginnastica, non le importa di altro. È il 2021. Simone Biles partecipa alle Olimpiadi di Tokyo. Si esibisce in un volteggio. Lo sbaglia. Abbandona la postazione e si ritira dalla gara. Non rilascia dichiarazioni, dopo qualche giorno prende coraggio. Ammette davanti al mondo intero di avere un disturbo. Si chiama twisties, mentre volteggia perde il senso dello spazio e non sa più dove si trova. Simone ha le lacrime agli occhi. Amo la ginnastica, ma ho bisogno di ritrovare me stessa, quando le persone mi guardano, vedono solo le medaglie, ma dietro gli ori ci sono io, una donna, una persona. Simone.
Lei è Simone
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