Lei è Sara. Vive a Roè Volciano, Brescia. È una ragazza allegra, piena di amici, sogna di fare la modella. È il 29 gennaio del 2014. Ha 18 anni. Sara sta male, sembra influenza, ma il medico di famiglia si accorge che qualcosa non va. Corrono in ospedale. È meningococco di tipo C. Sara ha dolori atroci, le inducono il coma per calmarla. Passa un mese. La svegliano. È maggiorenne, hanno l’obbligo di informarla su quello che l’aspetta. Sara ascolta, fissa un punto nel vuoto. Ripete due parole. Che brutto, che brutto. I genitori sono sconvolti, le infermiere piangono. Le danno dei farmaci e la riaddormentano. Passa un giorno. Sara apre gli occhi. Cos’è successo, non ricorda. Prova a muoversi, si guarda le gambe. Non ci sono. Anche le dita delle mani hanno perso una falange. È sconvolta. Ditemi che è un incubo. Le spiegano che i suoi arti sono andati in necrosi, hanno dovuto amputarli per salvarla. Sara ingoia, non versa una lacrima e rifiuta il sostegno psicologico. La trasferiscono nel centro ustioni. È sdraiata sul letto, in televisione ci sono le paralimpiadi, trasmettono le gare di snowboard. Sara si illumina. Mamma voglio farlo anch’io. Passano tre mesi. La dimettono. Sara è fuori pericolo, ma la madre è preoccupata, teme che la figlia possa chiudersi in casa, isolarsi. Mamma io esco. La donna è incredula. Sara non ha nessuna intenzione di nascondersi. Prende la carrozzina, chiama gli amici e va fare una passeggiata. È il 15 ottobre. Sara mette le protesi. Le dicono che sarà difficile, ci vorrà tempo prima di tornare a camminare. Lei ascolta a malapena. Si tatua sul braccio la parola resilienza. Si mette d’impegno, a Natale è in piedi. Si fa portare in montagna. Scommettiamo che imparo a usare lo snowboard? Il maestro è scettico. Sara si arrabbia. Sale sulla tavola, cade, si rialza, perde l’equilibrio, si risolleva, ancora e ancora. Sara Baldo ha 24 anni. Ha vinto la sua scommessa. Lo snowboard è la sua passione, si allena ogni giorno con tenacia, il suo prossimo obbiettivo sono le paralimpiadi.
Lei è Sara
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