Lei è Roza. Nasce in Albania nel 1968. È una bambina allegra, aiuta la mamma, si occupa dei fratelli, intanto studia sodo, è la prima della classe. Roza cresce, sogna l’università, poi guarda i genitori che si spaccano la schiena giorno e notte per sfamare sei figli. Mette da parte i libri, e si butta nel lavoro. Ha 17 anni. Mamma e papà hanno una buona notizia. Tesoro, ti abbiamo trovato un marito, finalmente avrai una casa e una famiglia tutta tua. Roza si sente morire, ma è la tradizione, lo sa. Ingoia le lacrime, e va all’altare. Nel giro di pochi anni nascono quattro figli. Il matrimonio è uno schifo. Roza pensa ai suoi bambini, nient’altro. Lavora nei campi, in miniera, in montagna, si leva il pane dalla bocca. Apre l’armadio, tiene per sé pochi vestiti, con quel che resta cuce pantaloni e magliette ai suoi piccoli. Non c’è malattia o stanchezza che tenga. Il tempo passa, Roza ha 51 anni, osserva i suoi ragazzi, sono cresciuti, hanno studiato, si sono sposati, hanno trovano il loro posto nel mondo. È orgogliosa. Va in pensione, si gode un po’ di riposo, i nipotini riempiono di gioia le sue giornate. È il 2019. Roza è stanca, fatica a stare in piedi. I medici parlano chiaro, ha la leucemia. Roza accusa il colpo in silenzio, è stanca, non ha paura, si sente pronta per il dopo. I figli invece sono terrorizzati. Mamma non puoi andartene, abbiamo bisogno di te! Roza fa un gran respiro e si prepara a dare battaglia. Raggiunge le figlie che vivono in Italia, inizia le cure. La sua risata risuona per i corridoi dell’ospedale, Roza parla con tutti, incoraggia le sue compagne di stanza, medici e infermieri. Recupera le forze in tempo per tenere tra le braccia il nuovo nipotino. Passano i mesi, la salute peggiora, Roza chiama i suoi ragazzi al capezzale. Tesori miei, non siate tristi, me ne vado felice, non fatevi abbattere dalle difficoltà, lottate sempre, con tutte le vostre forze.
Lei è Roza

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