Lei è Noa. Dopo essere stata molestata durante la festicciola di una compagna, dopo essere stata abusata nel bel mezzo di un’altra festa di classe, lei viene stuprata da due uomini. Per strada. Lei cammina. Loro le vanno incontro. La acchiappano. Le mettono le mani addosso. Le alitano addosso. La spogliano. La violentano. Loro si muovono. Lei è ferma. Loro sono agitati. Lei è terrorizzata. Loro si elevano verso il piacere. Lei implode nel dolore. Loro hanno goduto. Lei è morta. Loro se ne vanno dalla sua vita. Lei resta nella sua vita. Lei rimane a fare i conti con i loro residui organici. Materiale di scarto abbandonato. Lei è Noa. Ci sono giorni in cui fa fatica a parlare. Ci sono giorni in cui fa fatica a respirare. Lei non dice nulla. Ha paura. Si vergogna. Lei ha solo 14 anni. Il suo corpo è rimasto sporco. Lei si sente una criminale. Lei che non ha mai rubato nemmeno una caramella. Viene ricoverata in tre istituti. Non riesce nemmeno a mangiare. Lei non vuole mangiare. Lei non vuole nemmeno bere. Lei vuole solo morire. Vuole essere lasciata in pace. Lei vuole pace. Il suo corpo si nutre attraverso un sondino che le entra dal naso. Lei ha 17 anni. Finalmente trova il coraggio di andare a denunciare i due uomini che l’hanno violentata. Lei ora è seduta davanti ai poliziotti. Lei vuole parlare. Lei vorrebbe parlare, raccontare. Ma la sua bocca non si apre. La sua bocca non vuole far uscire le sue parole. Lei ha paura. Ha paura dei poliziotti. La mamma spera che la figlia conosca un ragazzo e si innamori. Spera in un lavoro. Spera nella vita. Lei smette di andare a scuola. Contatta di nascosto una clinica per il suicidio assistito. Le dicono di ripassare quando avrà compiuto 21 anni. Lei è disperata. Non può aspettare così tanto. Noa beve una bottiglia di birra, fuma una sigaretta, fa un giro in motorino. Poi basta. Muore di fame e di sete. Con la mamma accanto. Con la sorella e il fratello. Con i medici che le somministrano cure palliative per non farla soffrire.
Lei è Noa
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