Lei è Nawelles. Nasce a Torino nel 1981. È una bambina silenziosa. Un bel giorno il padre esce di casa e non torna più. La mamma lavora, fa cose, vede gente. Nawelles è sola. Cresce con i nonni e lo zio Roberto, un idolo. Ogni sabato passeggiano per la città, prendono il gelato, poi vanno nel suo studio. È un posto magico, pieno di tele e pennelli. Nawelles ficca le mani nei colori, disegna alberi, casette, uccellini. Quanto le piacerebbe vivere in un posto così. Zio Roberto spalanca la finestra. Piccola mia, vai, realizza i tuoi sogni, non dimenticarti mai che sei una donna libera. Nawelles è felice. Cresce, ha 21 anni. Conosce un ragazzo, si sposa, diventa mamma. Sogna una famiglia piena di amore. Si ritrova in gabbia. Il rapporto è soffocante, Nawelles cerca aria. Prende i pennelli, ma il foglio resta bianco. I colori non fanno più parte del suo mondo, le giornate ora sono grigie, prive di senso. È il 2011. Squilla il telefono. Il suo amato zio è morto all’improvviso. Nawelles è disperata. Si rannicchia, piange. D’improvviso sente come delle braccia calde che la stringono. Piccola mia, non dimenticare mai che sei una donna libera! Nawelles riapre gli occhi. Si guarda intorno. Sembrava proprio la voce dello zio. Spalanca la finestra. Il mondo è grigio, ma c’è un puntino là fuori, una minuscola macchia di luce. Nawelles prende per mano la figlia e punta dritto verso quel pallino luminoso. Il divorzio è devastante, lei resta salda, trova lavoro in un negozio e poco alla volta rimette insieme la sua vita. Un giorno la porta si spalanca, entra un cliente. Nawelles si ritrova di fronte degli occhi azzurri che inondano la stanza di luce. Escono a cena. Nicola racconta del paese in cui è nato, un villaggio sardo di mille anime. Ci sono alberi, uccelli e casette, ti piacerebbe? Nawelles piange di gioia. Oggi ha 40 anni, è sposata, ha quattro figli. Ogni mattina apre la finestra, guarda la campagna, dipinge. Il suo mondo è pieno di colori.
Lei è Nawelles
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