Lei è Monica. Nasce a Roma nel 1969. Ha un ritardo cognitivo, una emiparesi sinistra, e soffre di epilessia. Monica non cammina, non può fare niente da sola, è invalida al cento per cento. La sua vita non è semplice. A scuola la prendono in giro. Non ha amici. Ha soltanto i genitori e le sue amate sorelle. Monica cresce, è una ragazza solare, socievole, ma il suo cervello rimane quello di una bambina. Ha 18 anni. Mamma e papà le trovano un posto in un centro diurno a Torre Angela. Monica fa attività di gruppo, terapia, riabilitazione. Si diverte. È il 1994. La famiglia si trasferisce a Ostia. I genitori non possono più accompagnarla. Monica prende l’autobus speciale del comune che passa a prenderla la mattina presto e la riporta indietro dopo pranzo. Il viaggio dura un’ora e mezza. È il 2006. Monica ha dei problemi durante il tragitto. Vomita, sta male. Ogni giorno è una sofferenza. Le sorelle si rivolgono alla Asl, fanno domanda di trasferimento, poi bussano a una struttura sotto casa gestita da una onlus. Le richieste sono tante, c’è da aspettare. Passano 13 anni. Monica è sempre in lista d’attesa. Le sue condizioni si aggravano. Perde la vista da un occhio, non controlla più gli sfinteri. Torna a casa tutta sporca. Il pulmino ha la pedana rotta, per farla salire devono usare uno sgabello, e incrociare le dita. Un incubo. Le sorelle dicono basta. Si rivolgono alla struttura a due passi da casa, spiegano la situazione, chiedono perché dopo tutti questi anni Monica non sia mai stata chiamata. Il direttore sanitario è categorico. Vostra sorella non ha i requisiti, le conviene tenersi stretto il posto al centro diurno, e per il viaggio può sempre usare il pannolone. Eleonora e Orietta sono sconvolte. Tornano alla Asl, contattano il comune, poi la regione, ma trovano solo burocrazia e porte chiuse. Oggi Monica ha 50 anni. Vive con mamma Carmela, che le ha dedicato tutta la sua vita ed è arrivata alla soglia degli 80 anni. E dopo di lei?
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