La storia continua nel mondo di Wolford
Lei è Miriam. Nasce in un sobborgo di Johannesburg, in Sudafrica, nel 1932. La madre partorisce da sola, dentro una capanna. Taglia il cordone ombelicale, avvolge la piccola in uno straccio e la adagia per terra, sul fango. Piangi figlia mia, vivi. Miriam emette un lamento, sembra un canto. Ha 5 anni. La madre fa la domestica nelle case dei bianchi, Miriam va a trovarla una volta al mese. Scende dal treno, le corre incontro. Qualcuno urla, la polizia sbatte a terra un uomo, lo prende a calci e pugni, gli sputa addosso. Miriam è terrorizzata. La madre se la stringe forte al petto. Figlia mia, non piangere, canta, sempre, ovunque, la vita è bella. Passano gli anni. Miriam entra nel coro della scuola, è brava, la scelgono per cantare da sola davanti a re Giorgio d’Inghilterra. Miriam aspetta per ore, sotto la pioggia, la sua voce fa vibrare le baionette, il sovrano passa, non la degna nemmeno di uno sguardo, tira dritto. Miriam continua a cantare. Ha 17 anni, diventa mamma. Si occupa della figlia, lavora, fa la domestica, la bambinaia, la lavandaia. Un cugino le propone di esibirsi con la sua band, Miriam scoppia di gioia. La sua voce arriva alle orecchie di alcuni discografici, le propongono una tournée. Miriam parte a piedi scalzi, senza valigie. Canta sui palcoscenici di tutto il mondo, denuncia l’apartheid, urla a squarciagola la sofferenza del suo popolo. È il 1960. La madre muore. Miriam è negli Stati Uniti, si prepara a rientrare a casa, ma il Sudafrica le sbatte la porta sulla faccia e bandisce le sue canzoni. Miriam canta disperata. Si sposta da uno Stato all’altro, assiste impotente alla morte della figlia, il palco è la sua unica casa. È il 1990. Nelson Mandela è un uomo libero, la chiama. Miriam Makeba atterra a Johannesburg, corre sulla tomba della madre, piange. Attorno a lei si raduna una folla, bambini e adulti intonano le sue canzoni, ballano, la sommergono di sorrisi. Grazie Mama Africa, grazie per quello che hai fatto. Miriam è incredula, si asciuga le lacrime. Avevi ragioni mamma, la vita è bella.