Lei è Maya. Nasce a Jefferson, negli Stati Uniti, nel 1989. Il padre è non pervenuto, la madre lavora tutto il santo giorno per mantenere la figlia. Maya ha 8 anni. Passa i pomeriggi con il pallone da basket, sfida tutti, anche i grandi. Ha un sogno, diventare una campionessa. Inizia le Medie, entra nella squadra della scuola, si fa subito notare, fa incetta di medaglie e trofei. È il 2007. Maya ha 18 anni. Sta per andare al college, prima passa a salutare il pastore della chiesa, un suo caro amico. L’uomo è di corsa, ha un impegno. Vado in prigione a trovare un detenuto, vuoi venire con me? Maya accetta. Dentro il carcere conosce Jonathan, è di qualche anno più grande, ma è dietro le sbarre da tempo. Mi hanno condannato a cinquant’anni, per furto e aggressione, sono innocente, nessuno mi crede. Maya prova subito simpatia per quel ragazzo. Parlano, c’è feeling, prima di salutarlo gli fa una promessa. Tornerò a trovarti. Parte per il college, si concentra sulla carriera, colleziona una vittoria dietro l’altra, arriva la chiamata di una squadra importante. Maya ha realizzato il suo sogno, ma le manca qualcosa. Prende il telefono. Ciao Jonathan, come stai? Lui è sorpreso. Allora non ti sei dimenticata di me. Maya lo chiama prima di ogni partita, si scambiano lettere, libri, va a trovarlo ogni volta che può. Si innamorano. Lui è felice, ma ha paura. Tu hai una vita da vivere, io morirò qui dentro, non abbiamo futuro. Lei gli prende le mani. Non ho nessuna intenzione di lasciarti da solo. È il 2019. Maya convoca una conferenza stampa. Il basket è la mia vita, ma l’uomo che amo ha bisogno di me. Rinuncia a soldi e carriera, passa le giornate a studiare le carte, parla con giudici e avvocati, si batte senza sosta finché riesce a dimostrare che il suo uomo è innocente. Jonathan esce dal carcere, dopo ventitré anni. Maya lo aspetta fuori, gli corre incontro, lo abbraccia, lo bacia. Lo sposa. Era una star del basket, ora è una donna felice.
Lei è Maya
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