Lei è Marzia. Nasce ad Acquaviva delle Fonti, in provincia di Bari, nel 1911. La madre le insegna a cucinare. Marzia si diverte, ci prende gusto, trova lavoro nella mensa di un lebbrosario. Prepara ogni piatto con passione, ci mette tutta se stessa. Anche quello è un modo per dare aiuto e conforto agli ammalati. Ha 20 anni. Conosce Saverio, un calzolaio. Si innamorano, si sposano, nascono due figli. È il 1937. Scoppia la guerra d’Africa. Saverio viene chiamato al fronte. Marzia lo accompagna in stazione. Torno. Un saluto frettoloso e scompare sul treno. Marzia non si scoraggia. Continua a lavorare come cuoca e tira su due bambini da sola. Di tanto in tanto arrivano lettere dal fronte. Poche righe, un po’ in italiano, un po’ in inglese. Qualche scatto rubato, in posa tra le rocce e la sabbia, gli auguri di Natale in marcia a cavallo. Poi la doccia fredda. Mi hanno catturato, sono prigioniero. Marzia accusa il colpo. Nessuno può aiutarla, può solo pregare che il suo uomo torni a casa. Le lettere non arrivano più. Silenzio. Marzia è disperata, si sente impotente, sola. Ogni volta che si ferma un treno in stazione, tende le orecchie e spera che qualcuno bussi alla sua porta. Passano gli anni. La guerra è finita. Toc, toc. Marzia lancia un urlo, corre ad aprire. Saverio? No, è il postino. Ha il fiatone. Se l’è fatta di corsa. Una lettera per lei. Marzia trema. Sono vivo, sto bene, ci vediamo presto. Marzia scoppia a piangere. È il 28 gennaio del 1946. Marzia non riesce a stare ferma. Pulisce la cucina, prepara da mangiare. Fa di tutto. Bussano alla porta. Il cuore comincia a batterle all’impazzata. Apre. Non riesce a credere ai suoi occhi. Saverio, il suo Saverio. È sporco, smunto, quasi irriconoscibile. Sono tornato. La vita riprende. Passano gli anni. È l’ottobre del 2017. Marzia Solazzo muore circondata da quattro figli, dieci nipoti e quindici bisnipoti. Pochi giorni prima di compiere 107 anni.
Lei è Marzia

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