Lei è Mary. Vive a Milano. Il padre fa il muratore, la madre è una casalinga. Mary è una bambina decisa, finisce le Medie e inizia la scuola di parrucchieri. È brava, si fa apprezzare, a vent’anni ha già aperto la sua attività. Mary continua a studiare, diventa maestra e insegna nelle accademie di formazione. Ha tanta voglia di fare, ma la vista le gioca brutti scherzi. Fa dei controlli, gira ospedali, cliniche, nessuno sembra capirci niente. È seduta davanti all’ennesimo oculista. Signorina, lei ha la retinite pigmentosa. Cosa? In brutta sostanza, diventerà cieca. Non c’è scampo. Nella stanza cala il silenzio. Mary non si scompone, ingoia. Esce dallo studio, fa un grande respiro. Forza, la vita va avanti. Ha 27 anni, si sposa e diventa mamma, continua a fare la parrucchiera finché può. Ormai vede solo ombre. Mary non si piange addosso, si rimbocca le maniche e ricomincia da capo. È il 2009. Frequenta l’istituto per ciechi e diventa centralinista. Le offrono un lavoro a tempo indeterminato a Parma. Mary deve decidere se mollare tutto e trasferirsi, su due piedi. E sia. Accetta la sfida. Prende la famiglia e inizia una nuova vita. È il 19 luglio del 2017. Mary sta andando a lavoro. La sua vista è ridotta al minimo, ma vuole essere autonoma, ha imparato a memoria il percorso fino in ufficio. Entra in cortile, saluta i colleghi. Fa qualche passo. Oddio! Le manca la terra sotto i piedi. Sta cadendo nel vuoto. Mary sprofonda. Atterra sul cemento. Urla. Cosa succede? Aiuto! Sopra di lei sente delle voci, la sirena dell’ambulanza, il caos. Sono minuti interminabili. Qualcuno la afferra e la tira su. Mary è finita dentro un tombino profondo due metri. Gli operai l’avevano lasciato aperto, senza segnalazioni né transenne. Mary finisce in sala operatoria, dove entra ed esce ancora oggi. Ogni giorno è una lotta. E lei combatte, con il sorriso e con la speranza di trovare per la sua strada più attenzione e più rispetto per il prossimo.
Lei è Mary
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