Lei è Maria. Vive a Bari. Ha 40 anni. È sposata, ha due figli. È il 2017. Maria si trova in Sicilia per un viaggio di piacere. Riceve una chiamata dal fratello. Torna subito qui, tuo figlio Nicolangelo ha avuto un incidente. Maria si fionda in macchina, guida per ore senza mai fermarsi, raggiunge l’ospedale, ferma il primo medico che incontra. Mio figlio, dov’è? La portano in rianimazione. Nicolangelo ha perso il controllo dello scooter, ha battuto la testa, è in coma. Maria guarda il suo ragazzo, la testa fasciata, il volto irriconoscibile. Si sveglierà? Ha bisogno di speranza, conforto. I medici scuotono la testa. Maria si rannicchia in un angolo, piange. Passano i mesi. Maria resta incollata al figlio, gli parla, riempie la stanza con la musica napoletana che tanto gli piace, cerca segni, si aggrappa a qualunque cosa. La mano di Nicolangelo si muove? Lei urla al miracolo, i medici la riportano con i piedi per terra. Signora, si metta il cuore in pace. Maria non ci riesce. Si rivolge a uno specialista svizzero che le parla di un’operazione al cervello. Potrebbe risultare efficace. Ne parla con i medici di Bari. Vi prego, tentiamo. Il chirurgo la guarda dritto negli occhi. È inutile, suo figlio resterà un vegetale per sempre. Maria manda tutti a quel paese e cambia ospedale. Gira, bussa, viaggia, arriva a Verona, dove accettano di operarlo. È il febbraio del 2018. Mancano due giorni all’intervento. Maria è un fascio di nervi, spinge la carrozzina, porta il figlio in chiesa, prega, esce con il cuore pesante. È così assorta nei pensieri che va a sbattere contro una statua della Madonna. Nico, tesoro, ti sei fatto male? Lui fa segno di no con la testa. Maria sgrana gli occhi, impossibile. Ci riprova. Nico, vuoi l’acqua? La testa del figlio si muove su e giù. Gli chiede di alzare una mano, poi di sollevare un piede. Maria urla di gioia. Oggi Nicolangelo ha 22 anni, dopo altri interventi e tanta fisioterapia, cammina con il bastone, parla, ride e balla con la sua mamma.
Lei è Maria
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