Lei è Mara. Ha 62 anni. Vive a Voghera, in provincia di Pavia. È la proprietaria di un negozio di articoli vintage. È il dicembre del 2019. Mara ha la febbre, dolori alle ossa, affanno. Pensa all’influenza. La sua dottoressa le prescrive un farmaco, Mara lo prende per una settimana, ma non fa effetto. È debole, non si regge in piedi, ma va a lavorare lo stesso. È la titolare, non può fermarsi. Passano i giorni. La febbre sale, la tosse aumenta. Mara è distrutta, non riesce ad alzarsi dal letto, ha il fiato corto, fa fatica ad arrivare in bagno. È sola, non riesce a cucinare, spesso si accontenta di una scodella di latte. La sua salute peggiora. Interviene la sorella, che abita in provincia di Alessandria. Non puoi andare avanti così, devi fare una lastra. È quasi Natale. Tutto chiuso. La sorella trova un ambulatorio privato a Novi Ligure. Mara non ha scelta, si trascina giù dal letto, sale in macchina e parte. È il 22 dicembre. Le fanno la radiografia ai polmoni. Ha una polmonite con focolaio in atto. Mara torna a casa, si cura come può, ma qualsiasi cosa prenda non serve a nulla. Sta malissimo. Passa tra i dolori Natale e Capodanno. Arriva gennaio. Le feste sono finite, Mara contatta uno pneumologo a Pavia. Rifà gli esami, confermano la polmonite, che però sembra stia passando, il medico raccomanda di rimanere a casa altri 15 giorni e di tornare per un nuovo esame. Le dice che la sua è una polmonite atipica, non sa come classificarla perché è qualcosa di sconosciuto. Le confida che prima di lei ha visto altre quattro persone che presentavano gli stessi sintomi. Siamo ai primi di gennaio. Mara vuole solo guarire. Ci vuole tempo, ma si riprende. Il 22 gennaio torna al lavoro. È marzo. Scoppia l’emergenza coronavirus. Mara scopre che diverse persone con cui è stata a contatto, hanno contratto la nuova malattia, una è finita anche in ospedale. Si chiude in casa, chiama la sua dottoressa. È possibile che la mia strana polmonite fosse proprio quel coronavirus? La risposta è scioccante. Sì.
Lei è Mara
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