Lei è Lucia. Nasce in Campania nel 1887. È la penultima di quattordici figli. La sua famiglia è poverissima. Lucia studia fino alla terza elementare, poi va a faticare. Lavora al telaio tutto il giorno, per cinque lire. Nel tempo libero corre in chiesa, a pregare. Non è sazia, Lucia vuole rendersi utile, si reca in ospedale, assiste i malati che non hanno nessuno, gli porta i biscotti. I genitori si arrabbiano, hanno paura che prenda le malattie, lei non demorde. In famiglia la chiamano la briganta. Passano gli anni. La briganta si sposa, intanto scoppia la prima guerra mondiale. Lucia ritaglia i nomi dei caduti dal giornale. Prega per loro. La vita continua. Lucia bada ai suoi bambini, rassetta la casa, lavora al telaio. È una presenza costante tra i malati del paese. Passano gli anni. Lucia assiste anche al secondo conflitto mondiale. Americani e tedeschi si ammazzano, le strade sono piene di morti. Lucia fa un sogno. Otto soldati tedeschi la implorano di riportare le loro spoglie alle famiglie. Ora sono nemici, è vero, ma anche loro hanno una mamma. Lucia si sveglia. Scrive al comune, chiede di poter seppellire i morti, le danno il permesso e le affiancano due becchini. Ma per loro è troppo pericoloso, tra i resti potrebbero esserci granate inesplose. Lucia ha 59 anni. Non si arrende. Continua da sola. Le chiedono perché lo fa. Song’ tutti figl’e mamma. Le danno un soprannome, la mamma dei morti. Lucia raccoglie le ossa dei caduti, le piastrine, le foto, i documenti, le mette dentro delle cassette di zinco e aspetta che le famiglie si facciano vive. Paga tutto di tasca sua. Va avanti per sei anni. Seppellisce oltre settecento soldati. È il 1951. Riceve una lettera. Sono i genitori del caporale Joseph Wagner. Vogliono riportare a casa quel che resta del figlio. La invitano in Germania. Lucia Apicella parte. Incontra quelle persone, sente il loro dolore sulla sua carne. La Repubblica Federale Tedesca le assegna la Gran Croce dell’Ordine al Merito.
Lei è Lucia
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