Lei è Katie. Vive a Brentwood, negli Stati Uniti. È la reginetta della scuola, ha ottimi voti e le idee chiare sul futuro. Andrà al college, farà carriera e vivrà in una grande casa con figli e marito. È il settembre del 2007. Katie ha 18 anni. Si iscrive a Medicina. Manca poco all’inizio delle lezioni. Katie naviga su internet, si imbatte in alcune fotografie dalle quali non riesce a staccare gli occhi. Donne, uomini, bambini dagli sguardi sofferenti, ma pieni di vita. È come se la stessero chiamando. Sente una scossa. Mamma, papà, devo andare in Africa. I genitori pensano sia ammattita. Dove vuoi andare tu? Katie non sa spiegare. È così e basta. Alla fine la spunta, a patto che torni in tempo per l’inizio dei corsi. Katie vola in un piccolo villaggio dell’Uganda. Trascorre le giornate in orfanotrofio, cucina, pulisce, gioca con i bambini. Non c’è nulla, solo polvere, miseria. E sorrisi. Tanti, luminosi, sinceri. Spuntano da ogni dove. Katie è disorientata. Una notte si sveglia di soprassalto. Il tetto di una capanna è crollato, tre bambine sono rimaste ferite. Katie si precipita a dare una mano. Le piccole stanno bene, ma sono rimaste sole al mondo. Katie si prende cura di loro fino al mattino. Una delle bimbe si attacca alla sua maglietta. Grazie, mamma. Ha il sorriso più bello mai registrato nel pianeta terra. Passa qualche giorno. Katie mantiene la promessa, fa le valigie con la morte nel cuore. Il suo viaggio è giunto al termine, torna a casa, ma la sua mente e la sua anima sono rimaste dentro una capanna di fango. Si trascina per un po’ di tempo, poi parla con i genitori. Mamma, papà, perdonatemi. Oggi Katie ha 32 anni. Vive in un piccolo villaggio dell’Uganda, ha adottato quella bambina più altre dodici ragazze orfane. Da poco si è sposata con Benji, un ragazzo americano. Sono cresciuti nello stesso paese, hanno frequentato le stesse scuole, eppure si sono incontrati per la prima volta lì, in Africa. Abitano in una casa piccola, spoglia di tutto, ricca di sorrisi.
Lei è Katie
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