Lei è Kasha, vive a Kampala, in Uganda. Ha 7 anni. È in classe, prende un foglio, lo riempie di cuoricini e farfalle, al centro scrive due parole. Mi piaci. Firma il biglietto, lo piega con cura e lo lascia scivolare nella cartella della compagna di banco. È emozionata, continua a fantasticare su come e quando l’amica lo leggerà. Passa un giorno. Kasha entra in aula, i compagni le puntano il dito contro. Sei una lesbica schifosa, devi morire! Kasha resta di sasso, balbetta. Che cosa ho fatto di male? Le sputano addosso, la circondano e la riempiono di botte. Kasha corre a casa in lacrime. Mamma, papà, perché? I genitori la abbracciano e la stringono forte. Tesoro, tu non hai colpe, e noi ti amiamo tanto, ma nel nostro paese le persone come te fanno una brutta fine, fingi e vedrai che andrà meglio. Sono gli anni Ottanta. Kasha resta di sasso, quelle parole fanno male, più delle botte. Il giorno dopo torna a scuola, tutti la evitano, il preside la convoca nell’ufficio. Qui non c’è posto per quelli come te, vattene. Kasha cambia scuola, si tappa il naso per anni, spera soltanto che all’università sia diverso, ma appena mette il primo piede in ateneo, le fanno capire subito che non è gradita. Non può indossare i pantaloni e non deve avvicinarsi al dormitorio femminile. Kasha è arrabbiata, umiliata, e stufa di abbassare la testa. Organizza riunioni tra gli studenti, fa volantinaggio, si presenta a lezione con la bandiera arcobaleno. Sono gli anni Duemila. Un giorno le capita sotto gli occhi un articolo, pubblicato su una delle riviste più lette del paese. Nomi e indirizzi di cento omosessuali ugandesi sono sbattuti in prima pagina, alla mercé di tutti. E per rendere più chiaro il messaggio, c’è una bella scritta. Impiccateli! Kasha si sente morire. Tra quei nomi, c’è anche il suo. I genitori le propongono di andarsene, fuggire, basta giocare alla rivoluzionaria. Kasha si alza in piedi. Mamma, papà, perdonatemi, io non scappo. Oggi Kasha ha 40 anni, ha fondato un movimento Lgbt, marcia per le strade, chiede al governo solo una cosa, la libertà di amare.
Lei è Kasha
Altre storie simili:

Mio padre mi voleva capo clan, sono una donna trans che lotta contro la mafia
Il genitore è stato condannato all’ergastolo, Daniela l’ha rivisto dopo 25 anni e le ha detto…

Lei è Anna
Lei è Anna. Nasce in Ucraina nel 2003. I genitori fanno il possibile per tirare avanti, ma è dura. Ha 6 anni. Stringe la mano della mamma e si trasferisce

HO PERSO MIO FIGLIO, HO SCOPERTO CHE AVEVA UNA VITA PARALLELA. COME HO PUTUTO NON ACCORGERMENE?
Lei è Barbara. Ha 46 anni. Vive a Sassari, in Sardegna. È molto legata al figlio Gabriele, un ragazzo sensibile, sempre pronto a farsi in quattro per gli altri. Una