Lei è Josephine. Vive a Rostock, in Germania. Ha 14 anni, frequenta la chiesa evangelica luterana, suona il flauto e canta nel coro. È pomeriggio, Josephine partecipa a un corso sui sacramenti. Mentre prende appunti, il pastore si alza in piedi e accende la radio. Josephine non capisce. Nella stanza risuona la canzone del film Rocky, il pastore si lascia andare a una esclamazione di gioia, poi fa qualcosa di incredibile. Comincia a cantare, ballare e invita tutti a seguirlo. Josephine salta, agita le braccia insieme con i diaconi. Le sembra assurdo, folle, ma è bellissimo. Si sente parte di una comunità. E le piace da morire. Frequenta dei seminari, dopo il diploma si iscrive a Teologia, studia con impegno il latino, il greco, l’ebraico. Quando non sta sui libri, si accompagna mano nella mano con il fidanzato, che presto diventa suo marito. Josephine scopre di essere incinta, tocca il cielo con un dito, ma poco prima del parto perde il bambino. Josephine è distrutta, annientata. Riversa su Dio tutta la sua rabbia, i suoi dubbi, anche i pensieri peggiori. Soffre le pene dell’inferno, ma non si sente mai sola. Quel senso di unione la sostiene, la rende più forte e determinata. Completa gli studi e diventa pastora della parrocchia di Budelsdorf. Josephine trova un modo tutto suo di parlare ai fedeli. Apre una pagina social, pubblica foto della sua vita quotidiana, si mostra nelle vesti di guida religiosa, ma anche di donna e moglie. Parla di mestruazioni, di aborto, affronta l’amore in tutte le sue forme, senza genere né tabù. La sua chiesa è sempre piena, i giovani le scrivono per confidarsi, gli atei per confrontarsi. Arrivano anche critiche e qualche minaccia, Josephine non volta le spalle a nessuno. Sente che sta creando qualcosa di forte, unico. Oggi è una pastora di 35 anni, una donna separata e madre di due bambini. A volte celebra i battesimi nelle stalle, ogni tanto le capita di rivolgersi a Dio usando il genere femminile. La fede è stare insieme, senza barriere né ipocrisie.
Lei è Josephine
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