Lei è Jacqueline. Ha 20 anni. È originaria del Venezuela, ma vive negli Stati Uniti. È una ragazza bella, intelligente, di buona famiglia. È il 19 settembre del 1999. Jacqui va a una festa fuori città. Balla, si diverte fino a notte fonda. È stanca, vuole andarsene, ma il ragazzo che l’ha accompagnata è ubriaco. Jacqui non si fida, parla con gli amici e accetta il passaggio di una ragazza conosciuta alla festa. Salgono in macchina. Sono in quattro. Jacqui è seduta davanti. Sono sulla strada di casa. C’è un’auto. Va verso di loro. Contro di loro. L’impatto è tremendo. La macchina di Jacqui prende fuoco. Due ragazzi muoiono sul colpo. Jacqui prova a muoversi. È incastrata. Urla, chiede aiuto. Le fiamme aumentano. Jacqui è disperata. I suoi capelli, il suo corpo. Brucia. Arrivano i soccorsi, spengono l’incendio. Jacqui respira ancora. La portano di corsa in ospedale. Ha ustioni sul sessanta per cento del corpo. È viva. Jacqui viene sottoposta a oltre cento interventi chirurgici. Dita, naso e orecchie cadono, i medici fanno il possibile per ricostruire la faccia e le mani. Passano dei mesi, Jacqui viene dimessa, torna a casa, prende la sua vecchia foto, si guarda allo specchio. È uno shock. Non è più lei. Crolla, piange per ore, poi si alza, accende lo stereo e balla la salsa. Funziona, sta meglio. Nel frattempo comincia il processo. Jacqui è in tribunale, davanti a lei c’è l’uomo che le ha rovinato la vita. È un ragazzo, ha 18 anni. Quella sera era ubriaco. Ora piange, chiede scusa. Viene condannato a 7 anni di carcere. Jacqui gli va vicino. Ti perdono. Poi esce dal tribunale e parla ai giornalisti. Se questa faccia può aiutare qualcuno a prendere la decisione giusta, allora la mostrerò a tutti. Jacqui gira nelle scuole degli Stati Uniti, incontra migliaia di ragazzi, rilascia interviste. Il suo viso diventa il volto della campagna contro la guida in stato di ebbrezza. È il 20 aprile del 2019. Jacqueline Saburido si ammala di cancro. Muore. Aveva solo 40 anni.
Lei è Jacqueline
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