Lei è Francesca. Vive nella periferia di Taranto. È il 2005. Ha 12 anni. Lei non sa che suo cugino ha appena ammazzato a colpi di pistola il boss della malavita del posto. E non sa neppure che il cugino è braccato dagli amici del boss, che vogliono vendicare l’ammazzatina colpendo lui e i suoi familiari. Lei sa soltanto che deve lasciare la sua casa. Subito. Di corsa. E che d’improvviso non ha più un tetto sulla testa. Francesca e la sua famiglia scappano, non sanno dove andare, dormono in macchina, a casa di uno zio, dalla nonna, finché un amico del padre gli offre una casa. È vecchia, dentro non c’è niente, non arriva neanche l’acqua, ma è pur sempre un tetto. Francesca dorme per terra, sui cartoni, l’acqua la prende il padre alla fontana. I genitori di Francesca non hanno un lavoro fisso, i soldi in casa sono pochissimi. Francesca non ha vestiti né scarpe alla moda. Ma un piatto caldo in tavola non manca mai. Il padre le ripete che chi nasce povero può sempre riscattarsi. Francesca stringe i denti. Il giorno in cui finalmente allacciano l’acqua, riempie un bicchiere e lo conserva per mesi. Cresce. Ha 20 anni. Il suo cugino preferito muore di tumore. Sono coetanei e molto legati. Francesca si occupa del funerale, lo veste, pulisce le sue scarpe e gliele infila. Nella tasca della giacca gli lascia il suo anello. Così saremo legati per sempre. Francesca è distrutta, ma non c’è tempo per piangere, la famiglia ha bisogno di lei. Lavora, aiuta a pagare le bollette di casa, non dorme la notte e studia per l’università. È dura, ma si ripete che può farcela, con la forza di volontà andrà lontano. Francesca si laurea in Scienze dell’educazione, è la prima della famiglia. Dedica quel traguardo al cugino morto. Ora ha 27 anni. Fa l’insegnante di sostegno a due ragazzi disabili che sono la sua gioia. A causa del coronavirus è rimasta a casa, senza cassa integrazione, né tutele, ma non si arrende. Lei è abituata a lottare. E ha una certezza. Tutti hanno la possibilità di rinascere.
Lei è Francesca
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