Lei è Donatella. Vive a Catanzaro, in Calabria. Ha 35 anni, è sposata, ed è in attesa del suo primo figlio. Fa continui controlli, la gravidanza è perfetta. Al settimo mese si sdraia sul lettino, il medico appoggia l’ecografo sulla pancia. Di colpo la sua espressione cambia. Signora, il feto ha una grave malformazione, non sopravviverà, anche lei rischia grosso, deve abortire, subito! Le parole sono lame che si conficcano nella carne viva. Donatella non riesce a credere alle sue orecchie. Sua figlia era in perfetta salute, glielo avevano assicurato, ci deve essere un errore. La sua mente si allontana da tutto, non riesce più a dire né fare nulla. La ricoverano nel reparto maternità, in stanza con altre cinque donne, che hanno ben altre aspettative e prospettive. Tocca a lei. I medici inducono il parto abortivo, il battito del feto dovrebbe rallentare da solo. Non succede. Ancora resiste? Donatella non riesce a credere alle sue orecchie. Hanno detto proprio così? Le mettono un pannolone. Signora, qui siamo tutti obiettori di coscienza, non possiamo fare altro, ci chiami quando ha fatto. Donatella resta sola, in balia di un dolore muto. Arrivano le contrazioni, invece di spingere, serra le gambe, stringe, urla. Nessuno si palesa. Lotta con tutte le sue forze, dopo cinque giorni, cede. La piccola nasce senza vita, una parte di Donatella vola via con lei. Torna a casa, davanti alla cameretta vuota la rabbia prende il sopravvento. Donatella denuncia tutti e tutto, la diagnosi tardiva che non le ha lasciato scampo, la scarsa umanità. La macchina della giustizia fa il suo corso, dopo qualche tempo medici e infermieri vengono prosciolti. Il giudice riconosce gravi responsabilità morali, non penali. Oggi Donatella ha 46 anni, convive con una malattia autoimmune, causata forse da quel trauma. Non potrà mai dimenticare. Ma ha scoperto che oltre la rabbia e il dolore, c’è una forza più grande, piena di vita, speranza, e sconfinato amore. La stessa dalla quale due anni dopo è nato Domenico, il suo bellissimo angioletto.
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